Momenti drammatici per i diritti umani in un mondo che ha ripreso, o vuol riprendere, a chiudere le frontiere, alzare muri … Continue reading
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Momenti drammatici per i diritti umani in un mondo che ha ripreso, o vuol riprendere, a chiudere le frontiere, alzare muri … Continue reading
Un articolo di Tim Johnston, program director per l’Asia dell’International Crisis Group, in cui viene esaminato il sempre più complesso momento politico di una Thailandia che, governata da élite reazionarie e congelata dalla legge marziale imposta dai militari, deve affrontare la problematica successione dell’ottuagenario Bhumibol Adulyadej (Rama IX).
Mi hanno portato una conchiglia.
Dentro canta
un mare di carta.
Il mio cuore
si riempie d’acqua
con pesciolini
d’ombra e d’argento.
Mi hanno portato una conchiglia.
(Caracola, Federico Garcia Lorca)
Capita che mi chiedano: «com’è la sicurezza in Thailandia?», intendendo: quanti rischi di subire atti criminali corre chi visita il paese.
Di solito, molto sinteticamente, rispondo:
«Fate finta di essere in Italia. Gente cattiva, luoghi e situazioni pericolose esistono sia in Italia che in Thailandia. Unica accortezza: evitate discussioni in pubblico di qualsiasi genere – soprattutto ad alta voce – e, molto importante e diverso dall’Italia, approvate sempre ogni manifestazione o riferimento riguardante la monarchia. Anzi, approvate sorridendo in modo semplice e composto».
Che dietro il sorriso dei thailandesi si nasconda tutto l’arco dei sentimenti umani non credo sia una mia scoperta e non guasta, quando si soggiorna in Thailandia, adottare il loro (educatamente rispettoso) modo di fare.
La velocità è violenza
Il potere è violenza
Il peso è violenza
La farfalla cerca salvezza nella leggerezza
Nel lieve volo ondeggiante
Ma a un incrocio dove la luce chiazzata
Cade dagli alberi su una nuova sfrontata autostrada
I nostri territori convergenti si incontrano
Giungo con forza sufficiente per due
E la dolce farfalla offre
Sé stessa in un sacrificio giallo brillante
Sul parabrezza di silicone duro.
(Farfalla da Another Africa, Chinua Achebe)
di Will Hutton, The Guardian, 7 febbraio 2016
La regione del Mekong è la ciotola di riso dell’Asia: nel 2014 le nazioni affacciate sul basso corso del Mekong (Myanmar, Laos, Cambogia, Thailandia e Vietnam), hanno prodotto più di 100 milioni di tonnellate di riso, circa il 15% del totale mondiale.
La fertilità del terreno dipende dai sedimenti, ricchi di sostanze nutritive, che il Mekong porta a valle, soprattutto durante la stagione delle piogge da giugno a ottobre; più della metà dei sedimenti della Cambogia centrale vengono dalla Cina. Il fiume e le sostanze nutrienti che trasporta sono anche il supporto all’attività di pesca interna più grande del mondo – un quarto del pescato d’acqua dolce globale – e all’alimentazione di decine di milioni di persone.
La regione vanta una notevole biodiversità; solo i vasti bacini del Congo e dell’Amazzonia sono simili o lo superano. Ci sono più di 20.000 tipi di piante e quasi 2.500 specie animali. … Anche la diversità umana è sorprendente: monaci tibetani che pregano; commercianti birmani che acquistano e vendono; pescatori cambogiani che gettano le reti; agricoltori thailandesi che raccolgono; mercati vietnamiti che galleggiano. …
Le nazioni vedono una nuova risorsa nel Mekong: non il sostegno che offrono le acque ricche di vita, ma il semplice fatto che abbia un flusso. Le dighe idroelettriche già costruite o in programma fanno del Mekong il fiume con il maggior numero di opere …
… per alimentare le città lontane il flusso del fiume sarà intrappolato dietro una serie di muri di cemento. La sua pesca, l’agricoltura e la biodiversità ne subiranno le conseguenze e le vite vissute sulle sue sponde saranno rimodellate … Però, questo nuovo sviluppo, ha qualcosa di più profondo.
Flusso significa cambiamento, ma questo coinvolge anche l’identità, perché incarna la continuità. Mentre il fiume ritroverà il suo corso, altre preziose identità rischiano di essere perdute per sempre.
(da Requiem per un fiume, prima parte del saggio The Mekong)
Fonte testo ed immagini: The Economist