Viaggio alla scoperta di un Giappone meno conosciuto
(Asiablog.it) — Nel Mar del Giappone, a un paio d’ore di traghetto dalla città di Niigata, capitale dell’omonima prefettura, si trova una bellissima isola chiamata Sado (in giapponese Sadogashima, cioè “Isola Sado”), la cui fama come meta turistica è ancora ridotta, ma la sua importanza a livello storico e mitologico ha radici molto antiche.
Mi sono recata a Sado con un’amica all’inizio di luglio, quando ancora la stagione delle piogge avrebbe potuto minacciare la nostra gita, ma la variabilità che caratterizza il clima oceanico dell’isola ci ha regalato due giorni di meraviglioso sole. L’isola ha poco più di 55.000 abitanti e non è servita da mezzi pubblici rapidi ed efficienti quanto le grandi città giapponesi, quindi abbiamo deciso di provare a girarla in autostop. Ciò che ci attraeva dell’isola è la sua fama come meta di natura incontaminata: è infatti una delle zone meno edificate del Giappone, e dopo aver vissuto qualche mese a Tokyo sentivamo il bisogno di passare un paio di giorni lontane da grattacieli e centri commerciali. Non conoscevamo, però, l’importante storia di Sado, e girare in autostop si è rivelata la maniera migliore di scoprirla.
Siamo giunte a Niigata di prima mattina con un autobus notturno e siamo salite sul traghetto delle 6.00, dotato di pavimenti in tatami per permettere ai passeggeri di appisolarvisi. Qui abbiamo impiegato il tempo studiando la mappa dell’isola, che ha una particolare forma a “S”, e abbiamo scelto le tappe con cui desideravamo intervallare il nostro tour prima di raggiungere l’ostello, situato sul lato opposto dell’isola rispetto al porto.
La città principale si trova a metà dell’isola, mentre la punta nord è meno abitata, ma ospita alcune delle attrazioni principali, tra cui la cosiddetta Futatsugame, una piccola formazione rocciosa collegata alla costa di Sado attraverso una striscia di spiaggia, il cui nome significa “due tartarughe”, in quanto la forma della roccia ricorda proprio una coppia di questi animali. Volevamo quindi raggiungere l’ostello percorrendo tutta la parte nord dell’isola, e da subito abbiamo iniziato a cercare un passaggio proprio verso questa roccia delle due tartarughe. La zona del porto era davvero affascinante, con piccoli edifici in legno e insegne quasi totalmente prive di caratteri alfabetici; essendo appena giunte da Tokyo, ci sembrava di aver viaggiato indietro nel tempo, ma pensandoci ora, non trovo che questa espressione sia corretta: anche gli abitanti di Sado vivono nel presente, ma il loro è un presente molto diverso da quello che siamo abituati a immaginare se abitiamo in città. A volte è necessario uno sforzo per ricordare che la nostra “realtà” non è che una delle infinite realtà che appartengono a tutte le persone del mondo, e viaggi in luoghi così diversi da ciò che conosciamo aiutano molto in questo esercizio. Inizialmente, la scarsissima presenza di auto ci ha scoraggiate: saremmo mai riuscite a girare in autostop? Dopo un’attesa non troppo lunga, un pompiere che era diretto alla sua caserma a nord si è fermato e ci ha accompagnate fino al punto esatto in cui volevamo andare, sorpassando anche la propria caserma per poter scaricarci proprio all’imbocco del sentiero che conduce alla roccia Futatsugame: non ricordo di aver mai visto un verde così rigoglioso e l’acqua era talmente limpida che, se avessi portato con me un costume, avrei sicuramente deciso di tuffarmi.
Volevamo poi proseguire il viaggio verso Aikawa, una cittadina nel nord dell’isola famosa per le miniere d’oro che videro il loro picco di produttività nel periodo Edo (1603-1868), quando Sado era ancora utilizzata anche come meta di esilio. Non sapevo tutto ciò, e mentre attendavamo – con pochi risultati – qualcuno che guidasse in direzione di Aikawa, non ci immaginavamo che la lunga attesa di un passaggio sarebbe stata ricompensata dall’incontro di un anziano signore deciso a diventare la nostra personale guida per il resto della giornata.
Il signor Hiro, nato e cresciuto a Sado, aveva in macchina un cd di Pavarotti e il pomeriggio totalmente libero: ci ha accompagnate per tutta la costa nord e nord-ovest, fermandosi spesso in prossimità dei punti panoramici migliori per permetterci di scattare foto e per raccontarci la storia dell’isola. Abbiamo scoperto del passato da zona di esilio, delle miniere d’oro ora chiuse, dell’incredibile biodiversità: Sado è l’unico posto in cui si può osservare l’ibis giapponese, chiamato toki, libero nel suo ambiente naturale. Pur senza entrare nel parco naturale dedicato ai toki, siamo riuscite a vederne alcuni grazie all’esperienza di Hiro. Sembrava non volerci mai scaricare, avrebbe potuto continuare a raccontarci della sua Sado per ore: degna di nota è la storia mitologica secondo cui Sado fu una delle prime isole giapponesi a essere create dalle divinità Izanami e Izanaghi, precedendo anche l’isola di Honshū, la principale dell’arcipelago giapponese. Grazie a Hiro-san abbiamo potuto vedere zone dell’isola non previste dal nostro itinerario, come la Baia Senkaku, famosa perché ricorda i fiordi del nord Europa; poi, avvicinandoci al centro dell’isola, sconfinate distese di riso hanno iniziato a sostituire il territorio più collinare del nord.
Salutato Hiro-san e giunte all’ostello, abbiamo conosciuto il proprietario, un giovane ragazzo che aveva viaggiato all’estero e vissuto a Tokyo, ma aveva preferito tornare a Sado, isola da cui i giovani di solito fuggono, per fondare nella sua terra d’origine un ostello dal sapore internazionale, ma in perfetto stile giapponese. Grazie alle sue indicazioni, abbiamo cenato in uno dei ristoranti di sushi migliori che abbia mai provato e, più tardi, ci siamo godute un tramonto indimenticabile sulla spiaggia di Sawata, affacciata sulla Baia Mano.
Il secondo giorno eravamo dirette a Ogi, nella punta a sud-ovest dell’isola, per provare le tipiche taraibune, piccole barchette di legno rotonde, apparse anche nel film La città incantata del famosissimo Studio Ghibli. Un simpatico signore, diretto alla sagra del manzo non lontana da Ogi, ci ha accompagnate a bordo del suo van adibito a camera da letto; sembrava piuttosto divertito dall’idea che due ragazze italiane stessero facendo autostop intorno all’isola.
Giunte sul posto, abbiamo visitato l’antico villaggio portuale di Shukunegi. Da qui, abbiamo camminato qualche chilometro lungo la costa verso est, con i campi di riso a sinistra e il mare a destra, per giungere a una piccola insenatura dove anziane signore vestite con il tradizionale abito di Sado caricano i (pochi) turisti sulle loro taraibune. Sembravano felici di vedere turiste non giapponesi e ci hanno invitate con entusiasmo a provare a guidare le barchette, ma il metodo tradizionale ancora usato per farle muovere si è rivelato troppo difficile per noi. In ogni caso, è stata un’esperienza incredibile: si è trattato di uno di quei momenti in cui mi viene da domandarmi, “ma come ci sono finita qui?”. Questa sensazione di stupore era destinata a protrarsi per tutta la serata: rientrate in ostello, siamo state accolte da una piccola sessione di musica live organizzata in onore di una giovane ragazza che aveva deciso di aprire un’attività a Sado. Siamo prontamente state invitate al karaoke in un izakaya lì vicino, e in seguito un monaco buddista e un imprenditore proprietario di un ristorante italiano nella prefettura di Niigata ci hanno offerto un’altra cena nel ristorante di sushi della sera precedente: il proprietario sembrava felice di rivederci e stavolta il sashimi era ancora più delizioso.
Il terzo giorno era già tempo di rientrare, ma ero felice di aver vissuto al meglio il mio fine settimana a Sado: l’isola è piccola e i punti turistici non sono così numerosi, ma soprattutto sentivo finalmente di aver conosciuto una versione inedita del Giappone, non solo visitandone i luoghi, ma anche dando un volto alle persone per cui questa realtà rappresenta la normalità, e che mi hanno mostrato tanta accoglienza e fiducia: chi solo per un passaggio in macchina, chi per dedicare il proprio tempo a raccontarci dell’isola, ma in ogni momento percepivo la loro onesta felicità nel constatare che la loro Sado, l’isola che tanto amano nonostante le oggettive difficoltà dovute alla distanza da qualsiasi grande città, è una meta attrattiva e affascinante.
Le principali mete turistiche del Giappone sono così conosciute grazie alla loro unicità e non potrei mai affermare che città come Tokyo, Kyoto e Osaka non meritino la loro fama, ma il rischio è quello di tornare a casa con un’immagine troppo parziale e distorta del Giappone e dei giapponesi, che in città tendono a prestare meno attenzione ai turisti. Se avete l’occasione di passare anche solo un giorno in un luogo al di fuori degli itinerari turistici per eccellenza (senza necessariamente raggiungere l’isola di Sado), scoprirete un mondo nuovo e altrettanto meraviglioso. Arigatō, Sadogashima!
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