Da anni pubblica online foto e video di donne iraniane senza hijab: il regime la accusa di essere una spia americana
(Asiablog.it) — Il capo della Corte rivoluzionaria islamica di Teheran, Mousa Ghazanfarabadi, ha avvertito che inviare alla signora Masih Alinejad filmati di donne che rimuovono l’hijab in pubblico può essere punito con una pena detentiva da uno a 10 anni.
Masih Alinejad è una giornalista e attivista iraniana residente negli Stati Uniti che dal 2014 usa i social media, ed in particolare la sua pagina Facebook My Stealthy Freedom, per pubblicare foto e video di donne iraniane senza il velo obbligatorio, nonché per incitare altre donne a togliersi l’hijab in luoghi pubblici.
Alinejad è stata accusata dal regime iraniano di lavorare come agente del governo degli Stati Uniti, un’accusa comunemente utilizzata da Teheran contro i dissidenti di matrice progressista (mentre gli oppositori fondamentalisti islamici di regola sono accusati di essere al soldo dell’Arabia Saudita).
Inoltre all’inizio di quest’anno Alinejad ha incontrato il segretario di Stato americano Mike Pompeo, che l’ha ringraziata per il suo «coraggio e impegno per la causa della libertà delle donne iraniane».
«Dato che Masih Alinejad ha un contratto con gli americani», ha detto Ghazanfarabadi, «tutte le donne che le invieranno filmati nei quali si tolgono l’hijab saranno condannate da uno a 10 anni di prigione secondo l’articolo 508 del codice penale». «Tre tipi di filmati sono atti criminali», ha spiegato Ghazanfarabadi. «Filmare le nostre installazioni militari, registrare la vita privata di un altro cittadino e il terzo caso è quello di fare un filmato con l’obiettivo di lavorare con un governo nemico».
«Hanno paura di noi, delle goccie che diventano un fiume», ha risposto Alinejad in un video pubblicato su Facebook. «Il Capo della Corte rivoluzionaria mi ha accusato di essere parte di uno “stato ostile”. Ma nessun governo è stato più ostile al popolo iraniano di quello oggi al potere». E ancora: «Voi non avete paura di me…. Voi avete paura del fatto che le persone non vi temono più e si possano ribellare. Ogni donna che mi ascolta vede che le nostre voci sono ascoltate da tutto il mondo e si sente più forte». Poi l’attivista conclude: «La Repubblica Islamica non è la vera scelta degli iraniani perché le nostre elezioni sono una farsa».
Nel 2015, il Summit di Ginevra per i diritti umani e la democrazia ha assegnato ad Alinejad il premio per i diritti delle donne per aver «dato voce ai senza voce ed aver stimolato la coscienza dell’umanità a sostenere la lotta delle donne iraniane per i diritti umani fondamentali, la libertà e l’uguaglianza».
Dalla “Rivoluzione Islamica” del 1979 per le donne iraniane è obbligatorio coprire i capelli in qualunque luogo pubblico: l’esposizione di qualsiasi parte del corpo diversa da mani e faccia è punito con una multa e una pena massima di 70 frustate o 60 giorni di reclusione.
Di fatto, secondo Amnesty International le donne che protestano pubblicamente senza velo rischiano pene più pesanti, oltre a maltrattamenti e torture.
Nel Ventunesimo secolo l’eterno dibattito sul come coprire o scoprire il corpo degli esseri umani, ed in particolare quello delle donne, continua in tutto il Medio Oriente e nel mondo intero. La completa nudità in pubblico è proibita in qualunque Paese.
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Sì, l’Iran non è per niente democratico, ma non lo sono nemmeno Arabia Saudita, Bahrain e Quwait. Non mi sembra che per qualcuno è un problema.