A Luang Prabang il turismo di massa ha portato tanti dollari, ma a che prezzo?
(Asiablog.it) — Luang Prabang in Laos viene generalmente descritta dalle guide turistiche con termini mirabolanti: “gioiellino”, “meravigliosa”, “paradiso” e via dicendo.
Quando il Laos, nei primi anni Novanta, ha riaperto le frontiere al turismo di massa dopo decenni di guerre, povertà e isolamento internazionale, i turisti più avventurosi (o forse, in questo caso, si può addirittura parlare di “viaggiatori”) arrivavano in una cittadina sospesa nel tempo.
La Luang Prabang degli anni Novanta, adagiata su un altopiano laotiano a 200 km dalla capitale Vientiane, era lontana anni luce dallo sviluppo economico e turistico di altre destinazioni asiatiche come Tokyo, Seul, Hong Kong o Bangkok.
Come mi raccontò un viaggiatore che ebbe la fortuna di recarvisi immediatamente dopo la riapertura del Laos al turismo, nel 1993, “andare a Luang Prabang era come fare un viaggio nel tempo.”
“Sembrava di essere arrivati in una cittadina dell’Isan degli anni Sessanta, ma con più templi e un clima più piacevole”.
In quegli anni il pullman che portava da Vientiane a Luang Prabang impiegava anche dieci ore per percorrere i 340 km di curve che separano le due città.
Per qualche ragione tutti i passeggeri laotiani passavano buona parte del tragitto a vomitare dentro sacchetti di plastica o direttamente sul corridoio.
Poi, nel 1995, Luang Prabang è stata inserita nella lista dei patrimoni mondiali protetti dall’Unesco. Da allora il turismo è letteralmente esploso.
L’entusiasmo dei turisti sia occidentali che asiatici per la deliziosa Luang Prabang ha certamente regalato un po’ di notorietà al Laos, uno dei Paesi meno conosciuti del pianeta, ed ha portato prosperità a molti cittadini del luogo, ma a quale prezzo?
Orde di turisti a Luang Prabang
A seguire un affresco della situazione attuale secondo Sebastian Strangio:
I monaci emergono poco dopo le sei del mattino, macchie di fuoco nel buio che precede l’alba. Ciotole dell’elemosina in mano, camminano in silenzio attraverso la città passando davanti a bar e ristoranti in stile occidentale.
Camminano oltre gli hotel boutique con alberi frangipani e morbide tende bianche che coprono le finestre. Infine si infilano sulla Sisavangvong Road, la strada principale di Luang Prabang, dove una folla di turisti aspetta con ansia.
Appena i monaci cominciano a ricevere le offerte da una fila di devoti buddisti, il branco di turisti armato di macchine fotografiche va all’attacco. Un uomo dall’aspetto occidentale illumina il marciapiede con un enorme flash poggiato su un treppiede ed inizia a filmare i monaci. Un altro va avanti e indietro con una grossa macchina fotografica puntando il muso nero verso il flusso di novizi vestiti di zafferano e sparando scatti come se avesse una mitragliatrice.
Per secoli, i monaci di Luang Prabang hanno camminato per queste strade all’alba per raccogliere le elemosine della comunità locale. In tempi più recenti, tuttavia, il rituale noto come tak bat ha ceduto terreno ad un altro rito, decisamente più rumoroso: quello degli scatti e dei flash delle macchine fotografiche e dei frenetici spintoni per aggiudicarsi la migliore postazione lungo le affollate viuzze della cittadina laotiana.
Ogni mattina i tour operator vendono ai turisti caffè e riso appiccicoso (in lingua laotiana: khao niao — ເຂົ້າໜຽວ) da “donare” ai monaci durante la processione. Per gli standard locali i prezzi sono esorbitanti. Segnali in sei lingue chiedono ai visitatori di “rispettare l’elemosina” e mantenere la loro distanza dai monaci, molti dei quali sono novizi — avvertimenti regolarmente ignorati.
Per molti, il circo turistico che circonda la tak bat mostra il lato negativo del boom turistico che ha trasformato il carattere di questa antica capitale reale divenuta patrimonio Unesco.
“È come una Disneyland”, dice un laotiano che lavora nella conservazione dei beni culturali e chiede di rimanere anonimo a causa delle recenti polemiche riguardo al turismo di massa.
“Abbiamo fatto qualcosa, abbiamo scritto delle brochure, ma penso che non sia sufficiente.”
Luang Prabang, il cui centro storico è una penisola piena di templi buddhisti abbracciata dai fiumi Mekong e Nam Khan, è stata un tempo la capitale del regno di Lan Xang, il leggendario “Paese di un milione di elefanti”, rimanendo da allora il centro spirituale e religioso del Laos.
Da quando nel 1995 è stata inserita nella lista dei patrimoni mondiali protetti dall’UNESCO, questa povera cittadina laotiana dove l’energia elettrica andava e veniva si è trasformata in una delle destinazioni di viaggio più rinomate del sudest asiatico.
Secondo le autorità provinciali per il turismo di Luang Prabang nel 2015 ci sono stati più di 445.000 visitatori internazionali, con un incremento di oltre il 10% rispetto all’anno precedente.
Tale cifra potrebbe presto salire ulteriormente dopo l’apertura di nuove rotte aeree internazionali. Nel mese di marzo la compagnia aerea low cost AirAsia ha inaugurato voli regolari da Bangkok, mentre la HK Express ha annunciato che aggiungerà un volo da Hong Kong.
Ma a due decenni dall’inserimento nella lista Unesco, molti si chiedono se Luang Prabang sarà in grado di mantenere le sue tradizioni sotto la sempre più intensa pressione del turismo di massa.
Già nel 2004 un report dell’Unesco ha osservato che lo sviluppo del turismo aveva creato “tensioni critiche” sulle risorse ambientali e culturali della città. Senza una corretta gestione del fenomeno, si legge nel report, Luang Prabang potrebbe diventare “un’altra città turistica dove i cartelloni che pubblicizzano le bibite dominano il paesaggio, dove il suono degli autobus turistici annega le preghiere che si alzano morbide dai templi, e dove i residenti della città sono ridotti a comparse in un parco dei divertimenti a tema culturale”.
E voi, avete mai fatto un salto in Laos? E cosa ne pensate di Luang Prabang?
Sono stato a Luang prabang nel gennaio 2015..però onestamente questo circo turistico non lo ho notato..e comunque parliamo di un piccolo gioiellino
Grazie della testimonianza, Gianluca!
Forse Strangio ha calcato un po’ troppo la mano?
La mia visita risale al 2006. Ovviamente è un luogo incantevole ma sinceramente ho intravisto il “pericolo” in questione.
Ovviamente il numero dei turisti continuerà ad aumentare. Speriamo riescano a trovare un buon compromesso e speriamo che riescano ad evitare, come ha scritto l’Unesco, “un’altra città turistica dove i cartelloni che pubblicizzano le bibite dominano il paesaggio”.
Dipende anche da noi visitatori.
Anche io sono stata a Luang Prabang nel gennaio 2015 viaggiando via terra e fiume, con qualche avventura per arrivare in un luogo delizioso.
Certo se arrivarci sarà più facile comprendo i timori di Strangio e l’immagine purtroppo è abbastanza eloquente.
Grazie del commento, Roberta.
Condivido anch’io i timori, per questo ho ritenuto interessante quell’articolo.
Speriamo che riescano a mantenere un buon compromesso tra le esigenze del turismo (piu’ o meno) di massa e la volonta’ di non stravolgere l’essenza di questo meraviglioso luogo. Messa cosi’ sembra un discorso un po’ egoistico, del tipo: “voglio che il Laos rimanga com’e’: povero ma bello”. In realta’ credo che sia nell’interesse di qualunque luogo turistico al mondo non ridurre i residenti a “comparse in un parco dei divertimenti”.
Ciao!
Cosa vuol dire posto turistico spiegate prego .Turisti che definiscono un posto come turistico.
Sono stato nel 2006, ho potuto ammirare tutta la sua bellezza in un’atmosfera relativamente tranquilla.Si cominciava a vedere già che sarebbe diventata una meta da turismo di massa data la tipologia eterogenea dei viaggiatori presenti , un vero peccato per una cittadina che nella sua seraficitá il suo aspetto piu accattivante.Sará difficile che resistera alle lusinghe del dollaro dal momento che il paese ne ha un gran bisogno per rimanere nella scia del progresso dei paesi vicini poi dopo la costruzione del ponte con la Thailandia. ..
Sono d’accordo: difficile mantenere la seraficitá (serenità imperturbabile) in un luogo “invaso” dai turisti.
Staremo a vedere.
Ciao!
Il turismo di massa croce e delizia di questi luoghi, che non riescono a trovare un modo per sostenerlo e alla fine finiscono per assomigliarsi tutti
Ciao Alessio
Frequento il sud-est asiatico tutti gli inverni dal 2005, e Luang Prabang é uno dei posti che mi é piú rimasto nel cuore, come anche Vigan, cittadina unesco delle Filippine.
L’articolo sulla questua dei monaci non é esagerato, i turisti sono capaci di ogni nefandezza per portare a casa foto originali da mostrare agli amici. Ho visto di peggio in Myanmar, in un tempio buddista dove centinaia di monaci sfilano per due per 20 minuti per andare a pranzo contornati da turisti assatanati.
Certo che “tout passe, tout laisse, tout se recharge” e questi angoli della terra subiscono dei mutamenti epocali da turismo in un breve lasso di tempo.
Copio qui di seguito un brano di una mia cronaca della visita di novembre 2015.
Ciao.
Alberto
Visito il TAED, Traditional Arts & Etnhology Centre, un piccolo centro che presenta molto bene in alcune sale le etnologie laotiane, divise in quattro gruppi linguistici che raggruppano un centinaio di gruppi tribali per 6 milioni di abitanti su 236.800 kmq; un po’ meno degli UK. Intendo che la popolazione laotiana é molto diversificata e mi chiedo chi siano gli abitanti di Luang Prabang, scuri di pelle, non dotati di un gran sorriso e sicuramente sfortunati in fatto di donne, che hanno il fisico adatto alle risaie:
Cioè, piuttosto basse, poco tornite e con grossi polpacci che appaiono sgraziati dalle gonne tradizionali appena sotto il ginocchio; sono grato alle signore che vestono jeans lunghi.
Rimango a lungo seduto davanti ad un video che presenta vari audiovisivi coi sottotitoli realizzati da donne che intervistano la popolazione dei villaggi: una donna che tesse disegnando i suoi tessuti, una erborista che dichiara 100 anni che cura ogni tipo di malattia, uno sciamano che fa i suoi riti bislacchi, una mamma che racconta i suoi parti al villaggio e la vita prima e dopo …
Una raccolta di filmati di un mondo che sta sparendo.
Tutti dichiarano che vorrebbero insegnare ai loro figli i loro mestieri e le loro tradizioni, ma i giovani non ascoltano, hanno altri interessi, guardano al presente e giocano sui telefonini.
Guardo queste testimonianze con grande interesse, rispetto e commozione e penso a me stesso, che ho vissuto da bambino la bella esperienza del nonno che dispensava pillole di saggezza e lamentava un mondo che cambiava in peggio, poi la mia vita adulta, con le domeniche e le estati insieme con i nonni dei miei figli a continuare la tradizione familiare.
Ora, nell’era della globalizzazione e della perdita di tanti valori, tutto questo mi manca, e passo la mia terza età in fuga dalla realtà quotidiana in cui non mi riconosco più, rimpiangendo i tempi in cui eravamo più poveri, ma con più umanità, rispetto e onestá.
Grazie per il tuo bellissimo contributo, Alberto.
Tocca temi attuali ma anche eterni, in quanto “l’unica costante della vita è il cambiamento”. La speranza, da parte mia, è che il cambiamento renda migliore la vita delle persone.
Fortunatamente, quando pensiamo al Laos o all’Italia di 100 anni orsono, e al Laos o all’Italia di oggi, vediamo che i cambiamenti sono soprattutto positivi: piu’ salute, piu’ benessere, migliore istruzione, migliore informazione.
E’ vero, col tempo si perdono dei valori. Ma per fortuna si perdono anche tanti disvalori. Ad esempio, oggi in Italia o in Laos trattiamo le donne (circa la meta’ delle persone) in modo migliore di come le trattavamo 100 anni orsono. Ci sono meno genitori che vendono i figli o che mandano a lavorare i loro bambini. Ci sono meno “omicidi d’onore”. E via dicendo.
Insomma, sono d’accordo nel voler cercare di salvare le cose positive della nostra tradizione, ma mi paice anche sottolineare che tutto sommato, una volta tolti gli occhiali rosa della nostalgia, oggi si sta un po’ meglio di ieri.
Ma forse questa e’ solo l’opinione di un progressista :)