Un golpe anacronistico che mette a nudo problemi e contraddizioni della Turchia di Erdogan
(Asiablog.it) — Parlare di democrazia in Turchia può sembrare ambiguo, ma Recep Tayyip Erdogan venne eletto democraticamente nel 2014 durante le prime elezioni presidenziali dirette, dopo essere stato in carica come Primo Ministro della Repubblica Turca dal 2003 al 2014.
Legittimato, dunque, dal popolo che nella notte di venerdì ha deciso di sostenere il proprio Presidente davanti al tentativo di un colpo di stato da parte di una piccola frangia dell’esercito, costituita per la più da colonnelli e gradi minori, abbandonati dalle opposizioni laiche e nazionaliste di Erdogan.
Un golpe durato quattro ore. Forse meno. Breve, quanto basta per mobilitare mediaticamente il mondo intero, lanciare allarmi come “la fine di Erdogan!” salvo poi ritirare tutto, centinaia di vittime e migliaia di arresti a parte.
Le presunte richieste di asilo politico, a Berlino prima e a Londra poi, del Sultano (se mai è veramente salito su quel jet in volo tra i cieli europei) e la videochiamata per incitare il popolo alla resistenza, le dichiarazioni diplomatiche di John Kerry e Lavrov per chiedere soluzioni democratiche ed evitare spargimenti di sangue, le parole di sostegno al governo eletto di Obama e dalle diverse capitali europee.
Quattro ore in cui sono riemersi problemi e contraddizioni di un Paese che nelle recenti vicissitudini internazionali ha mostrato la sua fragilità, in particolare nei rapporti con la Russia (ricordando l’abbattimento del cacciabombardiere di Mosca e poi la pace con Putin) e nel conflitto siriano, prima contro Assad per poi cambiare rotta e considerarlo come alleato nella guerra allo Stato islamico.
Verrebbe da definirlo un golpe “abbozzato”, mal gestito ed ideato, anacronistico rispetto a quelle che sono le esigenze attuali di un Paese afflitto da attentati e scarsamente organizzato nella gestione dei complessi flussi migratori che lo attraversano.
La mancanza di sostegno politico ai militari ribelli ha spento ogni pretesto per un possibile cambio della guardia, così come probabilmente è l’assenza di valide alternative politiche al partito di governo Akp e alla presidenza Erdogan ad aver spinto una parte dell’esercito ad un attacco come quello della scorsa notte.
Un azzardo che complicherà ulteriormente la situazioni interna e le relazioni euro-atlantiche turche, perché oltre ad essere un membro permanente della Nato la Turchia indirizza da anni la propria politica verso un difficile ingresso nell’Unione Europea.
Erdogan punirà i responsabili ed esecutori di un progetto fallito, ha i presupposti per chiedere poteri speciali per far fronte ad una crisi interna di tale portata e per riformare un apparato militare che verrà sicuramente ridimensionato dopo gli eventi della notte tra il 15 ed il 16 luglio.
C’è da domandarsi quali saranno le prossime conseguenze per uno Stato che dovrà fornire garanzie al suo interno e nel panorama internazionale, ma che inevitabilmente rimane marchiato da un attacco probabilmente non del tutto imprevisto.
C’è da chiedersi, soprattutto, se i poteri cui farà affidamento Erdogan rispetteranno una democrazia fragile, incerta e mascherata come quella turca e cosa ne sarà delle minoranze religiose del Paese.
Mario Ramponi
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Erdogan ha definito il golpe un «dono di Dio» in quanto adesso ha ben chiaro chi sono i suoi oppositori piu’ pericolosi.
E’ probabile che per la “democrazia fragile, incerta e mascherata” della Turchia si apra una stagione ancora piu’ difficile.
Ma d’altronde un tentato colpo di stato militare non avrebbe fatto benissimo nemmeno alla piu’ stabile e matura democrazia al mondo.