Le acque che dividono la Cina dal Sudest Asiatico sono terreno di scontro degli interessi di sei paesi: nel frattempo le installazioni militari rischiano di distruggere i fragili ecosistemi delle barriere coralline
(Asiablog.it) — La Cina rivendica la sovranità sulle isole Paracel e Spratly nel Mar Cinese Meridionale. Si tratta di centinaia di isolette, atolli e scogli contesi anche da Taiwan, Vietnam, Filippine, Malesia e Brunei, l’unico a non avervi ancora costruito basi artificiali.
La Cina controlla la maggior parte dei territori e tenta di affermare sempre più la sua presenza marittima, ma i rivali regionali continuano a rivendicare il possesso delle isole per prossimità territoriale e, nel caso del Vietnam, producendo documenti che dimostrerebbero il proprio dominio sulle Paracel e Spratly sin dal XVII secolo.
L’area è nota per la grande ricchezza di risorse, dagli idrocarburi al petrolio, e per essere un importante punto di transito per il commercio marittimo, con i due terzi delle forniture energetiche della Corea del Sud, il 60% percento di quelle di Giappone e Taiwan e l’80% delle importazioni di petrolio greggio della Cina che navigano attraverso il Mar Cinese Meridionale.
La questione è tornata a infiammarsi nella primavera dello scorso anno quando immagini da satellite hanno evidenziato la costruzione di lingue di terra atte a diventare piste di atterraggio su due atolli, Fiery Cross Reef (immagine in basso) e Subi Reef.
Nel settembre 2015 il Center for Strategic and International Studies aveva confermato l’avvenuta realizzazione delle piste annunciando una terza costruzione su un altro atollo delle isole Spratly, il Mischief Reef, 250 chilometri al largo della costa filippina.
Gli Stati Uniti stimano che la Cina abbia bonificato più di 3200 acri solo nelle Spratly, costruendovi piste di atterraggio, strutture portuali e radar.
La Cina ha cercato di smorzare le preoccupazioni dei Paesi interessati definendo le operazioni sulle isole un “green project”.
Il 10 maggio scorso il vicedirettore generale del Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, Wang Xining, ha dichiarato che tutte le attività di bonifica e di costruzione nella regione sarebbero state progettate e portate avanti nel tentativo di rendere minimi gli impatti negativi sull’ambiente.
Nonostante le rassicurazioni da parte cinese, le ricerche effettuate dagli esperti dimostrano il contrario. Secondo John McManus, biologo marino dell’Università di Miami, la situazione delle isole adibite a basi militari è alquanto preoccupante: “la sabbia e il limo sollevati dalle draghe coprono la maggior parte della laguna di Mischief Reef e si stanno assestando su gran parte della barriera corallina rimanente. La sabbia ucciderà quasi tutti gli organismi e intaserà le branchie della maggior parte dei pesci. Non mi aspetto di trovare pesci sopravvissuti all’interno di questa laguna, fatta eccezione per le zone più a sud”.
Le 571 specie di coralli e la grande varietà di pesci del Mar Cinese Meridionale sono già minacciate dalla pesca intensiva e dai cambiamenti climatici, e la creazione di questi avamposti militari rischia di peggiorare ulteriormente la situazione.
“Ciò che serve,” secondo lo specialista Therry Hughes, “è un passo avanti nella cooperazione al fine di proteggere i fragili ecosistemi delle barriere coralline, piuttosto che distruggerli”.
Il conseguente impoverimento delle specie marine potrebbe costare all’industria della pesca filippina circa 110 milioni di dollari l’anno.
È improbabile che la Cina, interessata al Mar Cinese Meridionale per la posizione strategica e la ricchezza dei fondali, rinunci alle sue pretese, soprattutto in un momento di ascesa militare come quello attuale quando la creazione di nuovi avamposti non può che fare comodo.
L’incapacità degli attori in gioco di risolvere le dispute rischia di generare instabilità nella regione e fomentare i gia diffusi sentimenti anti-cinesi.
Eleonora Fanile