Recentemente la Banca Mondiale ha rivisto verso il basso, dal 49° al 46° posto, la capacità della Thailandia nel “facilitare gli affari”.
Il rapporto della Banca Mondiale valuta le regole di business in 189 paesi.
«Non capita tutti i giorni di vedere il titolo Thailandia: perché il paese dei sorrisi è accigliato», scrive Peter Kholi su Nasdaq.com, «ma questo è esattamente ciò che titola un articolo pubblicato su Barron’s Asia [quotidiano d’informazione finanziaria, ndr]».
Kholi si chiede se questa preoccupazione sia giustificata o meno. In fondo, scrive, «anche se il clima economico thailandese non è brillante […] la crescita del PIL dell’ultimo trimestre è stata del 3,2%, che è la più alta crescita degli ultimi tre anni. […] il SET 50, l’indice di riferimento del Thailandia Stock Exchange, ha un bel risultato, più 11% da inizio anno, mentre l’iShares MSCI Thailand Capped ETF ha un guadagno da inizio anno del 16,32 %.»
Oggigiorno le analisi economico-finanziarie dedicate a singole componenti del mercato (globale) hanno cadenze spesso quotidiane. Sono analisi a breve termine che guardano all’attualità per offrire agli investitori – grandi e piccoli – suggerimenti ed informazioni per operare sul mercato finanziario. Ma proprio in questa loro visione parcellizzata hanno il loro peggior difetto: si guardano le recenti positive performance della borsa, se non l’andamento del mercato immobiliare thailandese, spesso col non dichiarato scopo di vendere il proprio prodotto, e ci si dimentica dello scenario completo e complesso dell’economia – locale e/o globale -.
In una visione più ampia, che analizza il passato per cercare di conoscere il futuro, si è impegnata Thailand Future Foundation, che nel report La nuova normalità della Thailandia afferma che l’economia thailandese è in ripresa, ma (molto) lentamente e con una traiettoria di crescita più bassa. Un recupero che, probabilmente, non significa che le “cose” torneranno ad essere come si era abituati a vederle in anni precedenti. Un’affermazione, quest’ultima, che a ben vedere accomuna la Thailandia a tante altre nazioni orientali ed occidentali.
Come altri paesi in crisi, la Thailandia ha subito un grave colpo dalla crisi asiatica del 1997. Ci sono voluti 5 anni per recuperare un livello di attività economica – misurata sul PIL reale escludendo gli effetti dell’inflazione – come quello pre-1997. Ma è stato un recupero con una traiettoria di crescita più lenta e inferiore. Durante gli anni del boom, tra il 1985 e il 1995, la crescita media era del 9%. È scesa al 5% tra il 2000 e il 2010 e poi al 3% dal 2010.
Perché, secondo TFF, la Thailandia deve affrontare una “nuova normalità”?
[…] dopo l’ultimo decennio il paesaggio per la Thailandia si è modificato sotto vari aspetti. Alcune modifiche sono cicliche, altre sono strutturali. Alcune sono come venti in poppa, ma la maggior parte sono venti contrari. A conti fatti, la Thailandia si trova di fronte un ambiente molto più impegnativo.
Quanto un’economia è in grado di produrre, in ultima analisi, dipende da quanti lavoratori ci sono e in che modo sono produttivi.
Come è noto, la Thailandia invecchia molto rapidamente. La crescita della forza lavoro sta diminuendo, da un tasso composto medio di crescita annuale (CAGR) [Compounded Average Growth Rate – Tasso di crescita annuo composto, ndr] dell’1,2% negli ultimi dieci anni, allo 0,2% del decennio in corso. La forza lavoro è prevista in diminuzione (-0,6%) nel prossimo decennio.
Né abbiamo fatto un buon lavoro nel fare in modo che il minor numero di lavoratori che abbiamo siano più produttivi. La crescita della produttività del lavoro è scesa dal 2,3% all’1,7%.
Non possiamo neppure aspettarci di aumentare la partecipazione della forza lavoro, la Thailandia – a differenza di molti altri paesi – ha già tassi molto alti di partecipazione femminile alla forza lavoro (il 64% della popolazione femminile in età lavorativa), che supera paesi vicini come Malesia (44%), Indonesia (51%) e Filippine (51%).
I salari sono aumentati bruscamente superando la produttività, il che significa più alto costo del lavoro per unità e minore competitività. Nel settore privato la media dei salari reali (esclusa l’inflazione), nel corso del primo decennio degli anni 2000, era essenzialmente piatta, il 2% CAGR, è cresciuta di un enorme 10% all’anno dal 2011. Al contrario, il costo del lavoro per unità in Vietnam è cresciuto solo dell’1% nello stesso periodo.
Una maggiore concorrenza da parte degli altri paesi nella regione. Vent’anni fa, l’economia del Vietnam non appariva sullo schermo dei radar. Ma da allora, la quota globale di esportazioni ed investimenti diretti esteri del Vietnam è notevolmente aumentata. L’IDE [Investimento diretto all’estero, ndr] del Vietnam in Thailandia è aumentato dal 30% del 2000 al 70% nel 2013. Anche le esportazioni sono aumentate del 70%. Tutto questo da un’economia che ha circa la metà delle dimensioni di quella thailandese.
Le prospettive per la domanda interna non sono ottimistiche. Quasi il 40% della nostra forza lavoro è occupata nel settore agricolo. Ma la crescita dei prezzi delle materie prime (in particolare riso, gomma e canna da zucchero) sarà probabilmente molto più contenuta nel decennio in corso e questo a causa di un rallentamento della crescita in Cina, le alte scorte di riso, il basso prezzo del petrolio e un dollaro più forte.
Alti anche i livelli di indebitamento delle famiglie (l’85% del PIL, contro il 46% dell’inizio del decennio precedente), che suggeriscono una libertà di espansione molto più limitata per la crescita della spesa delle famiglie.
Il tasso di urbanizzazione della Thailandia rimane decisamente basso per il suo livello di reddito e di sviluppo, è tra i più bassi della regione, secondo solo a Laos e Cambogia.
Gran parte della superiore performance economica di Indonesia e Cina hanno a che fare con la rapida crescita delle loro classi medie urbane, un fenomeno che è sostanzialmente ritardato in Thailandia.
Che dire della domanda esterna? Le esportazioni di beni rappresentano circa il 62% del PIL della Thailandia. Di conseguenza, tutto ciò che colpisce le prospettive di esportazione della Thailandia ha implicazioni significative.
Durante il decennio precedente, la Thailandia ha visto una crescita a due cifre delle esportazioni in dollari, con un CAGR del 12%. Sceso all’1% nel decennio in corso.
Molti dei nostri settori chiave hanno venti contrari nel loro futuro. L’elettronica (15% del totale delle esportazioni) è stata a lungo un fattore chiave per la crescita delle nostre esportazioni della regione. Ma, mentre le esportazioni di elettronica prodotta in Thailandia sono cresciute del 20% dal 2009, quelle dal Vietnam sono cresciute di 10 volte.
La petrolchimica (6% del totale delle esportazioni) dovrà probabilmente affrontare una maggiore concorrenza sul fronte delle esportazioni nel corso del prossimo futuro, mercati che solitamente erano importatori, come la Cina e l’India, hanno inciso in modo significativo sulla propria capacità produttiva e stanno diventando esportatori netti.
L’immobiliare e le costruzioni rappresentano l’11% del PIL. Lo stock di eccesso di offerta di unità abitative a Bangkok e dintorni è a un livello molto alto e peserà sulle prospettive di futura crescita del settore. Le auto e i componenti per autoveicoli (16% delle esportazioni totali) soffrono ancora di un eccesso causato dalla politica della prima auto.
Il turismo è stato a lungo sovra performante ed è un sostegno dell’economia thailandese. Ma il forte aumento del numero di turisti è generato, in modo schiacciante, da turisti provenienti dalla Cina che, pur significativi numericamente, spendono pro capite circa il 40% in meno rispetto ad un turista europeo.
Più lenta la crescita del PIL, da 5% a 3%, un calo sostanzialmente coerente con le prospettive di un andamento più lento delle esportazione e la crescita dei consumi che aumenta. Più lenta la crescita delle esportazioni: da doppia cifra a basse cifre singole, a causa di vari fattori strutturali.
Non solo una crescita più lenta, ma più sporca. Le emissioni totali annue di CO2 sono aumentate quasi di tre volte durante gli ultimi 20 anni e ci classifichiamo al 22° posto, su 186 paesi a livello globale, in termini di emissioni di gas serra.
Alla base di gran parte di questa pessima classifica è lo spreco di energia. Pur essendo un paese fortemente dipendente dalle importazioni di energia, la Thailandia si colloca ad uno stupefacente 168° posto per la quantità di energia usata per produrre il PIL, un dato vicino a nazioni produttrici di petrolio come Iran, Russia e Bahrain.
La Thailandia si affida (eccessivamente) alle importazioni di energia da Myanmar e Laos. Ma dato che questi paesi crescono più rapidamente il loro fabbisogno energetico aumenterà. Cosa farà la Thailandia quando gli altri saranno meno disposti a fornirle energia?
Forse la cosa più preoccupante di questa nuova normalità è che possa portare a continui conflitti sociali.
Quando la crescita è alta e le opportunità sono in aumento per tutti, è molto più facile ottenere consenso dai diversi segmenti sociali. Ma quando la torta non è in aumento, l’attenzione si concentra naturalmente su chi sta mangiando la fetta più grande della torta, con una susseguente maggior potenzialità di conflitto. […]
A questo punto della storia io mi fermo. Il report prosegue indicando qual è il fattore economico, secondo TFF, su cui deve puntare la Thailandia per esprimere le proprie potenzialità economiche (chi vuol leggere il report completo segua il link sopra).
Secondo TFF, la Thailandia deve affrontare una “nuova normalità”. L’attuale crisi economica (2008), che viene definita globale, anche se in realtà ha colpito in modo diretto maggiormente le nazioni occidentali e quelle orientali di riflesso, non ha forse creato per tutti una nuova normalità?
Non servono molte dimostrazioni a supporto del fatto che è l’economia che fa girare il mondo, i suoi riverberi – anche violenti – sul vivere quotidiano influenzano la libertà, l’eguaglianza e la fratellanza, la politica e quindi la democrazia.
Forse tutto il mondo deve affrontare una “nuova normalità”.
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