«Ho usato diversi rendering 3D, li ho scoperti al Centro Banff, in Canada, nel 1994, dove sono stato invitato a condurre un corso sul concetto de “il transitorio nell’immagine”.
Lì ho imparato a conoscere le tecnologie di realtà virtuale e sono rimasto affascinato dalle possibilità che offrono di costruire spazi illusori. È un paradosso ironico che un centro situato in un parco nazionale nelle montagne rocciose, circondato da tanta magnifica natura vergine, si sia sforzato di creare modelli virtuali di natura inventata.
In ogni caso, tutte queste funzioni software si basano sullo stesso principio: i dati cartografici si traducono in un rilievo 3D. Tuttavia, ho ingannato il computer e, invece di immettere una mappa, ho inserito un capolavoro della pittura paesaggistica o della fotografia.
Il software è vincolato a creare un paesaggio, qualunque sia l’immissione. Deve produrre un’immagine all’interno di un vocabolario di termini limitati: montagne, vulcani, valli, fiumi, oceani… E questo è il punto: un paesaggio è riciclato in un altro paesaggio. Questo sovvertimento svela un altro gesto: facciamo i computer per produrre allucinazioni, spingiamo la tecnologia a lasciare emergere il suo inconscio.»
Fonte immagine: Marc Feustel
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