Io sapevo la guerra dai libri, direi romanzi, soprattutto. Ne sapevo anche i rumori, direi, anche le sfumature, sapevo, nella guerra, mettermi dalla parte dei vincitori e da quella dei vinti, dei bombardieri e dei bombardati. Potevo essere tedesco a Bastogne ed ebreo a Varsavia.
Ne sapevo vedere – in filigrana – persino il fraseggio gentile, dove la compassione, tra una bomba e l’altra, regalava immagini pietose tali da convincere tutti che la guerra doveva finire, e per finire, dunque, continuare fino alla fine. Per finire non finire. Questo è Gregory Corso: la pietà si appoggia al suo bombardamento preferito e perdona la bomba.
Sapevo la guerra, dunque, credevo di saperla.
Il passaggio che mi mancava era il come si giustificasse il tutto, il come si convincessero tutti che tutto era lecito e giusto.
Come si diede a bere al mondo che bombardando Hiroshima si salvavano delle vite?
Come si fece credere alla gente che ammazzando civili innocenti a Dresda si salvasse il mondo?
Dicevo, va bene tutto, ma questa come la berranno.
Poi la bevevano, come un bicchier d’acqua.
… segue in Io sapevo la guerra dai libri, Considerazioni sulla guerra – di Alessandro Robecchi
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