Movimento ambientalista scuote il Vietnam dopo una misteriosa moria di pesci lungo la costa centrale: manifestanti picchiati e arrestati
(Asiablog.it) — “Tôi chọn cá, io scelgo il pesce”, è questo lo slogan del movimento che sta scuotendo il Vietnam in seguito ad una misteriosa moria di creature marine verificatasi ad aprile lungo 200 chilometri di costa.
Il disastro ambientale, che ha interessato le province centrali di Ha Tinh, Quang Binh, Quang Tri e Thua Thien Hue, ha scatenato un’ondata di proteste in tutto il Paese.
Dopo che il primo maggio migliaia di cittadini sono scesi in piazza ad Hanoi e Ho Chi Minh City, le manifestazioni ambientaliste si sono diffuse velocemente in altre città vietnamite.
Perché si protesta
I cittadini protestano per chiedere che sia fatta giustizia. Nonostante i responsabili della contaminazione delle acque non siano stati ancora individuati con certezza, per tanti vietnamiti il colpevole del disastro ambientale ha già un nome: si tratta dell’azienda taiwanese Formosa Plastics, che avrebbe riversato in mare, da una sua acciaieria in provincia di Ha Tinh, delle acque reflue non adeguatamente controllate e filtrate.
Un’inchiesta preliminare commissionata dal governo ha concluso che la moria di pesci è stata causata dall’inquinamento industriale, specificando però che non ci sono prove per attribuire la responsabilità all’impianto siderurgico della Formosa. Ma in un paese che tende a diffidare dei media governativi, molti cittadini hanno preferito attingere all’enorme quantità di immagini, filmati e notizie, in molti casi imprecise, diffuse online. Tra gli attivisti c’è la sensazione che il governo non solo si sia mosso con colpevole ritardo, ma abbia anche interesse a difendere il gruppo di Taiwan, una multinazionale che in Vietnam ha investito ben 10 miliardi di dollari.
Per il momento la rabbia popolare si è concentrata su Chou Chunfan, un portavoce della Formosa, secondo il quale i vietnamiti dovrebbero scegliere tra i posti di lavoro e un ambiente pulito. «Volete il pesce o l’acciaieria? Dovete scegliere, non si possono avere entrambe le cose», ha dichiarato Chou in una infelice intervista ai media vietnamiti. In tutta risposta è partito sui social l’hashtag #toichonca, ovvero: io scelgo il pesce.
Perché il governo non tollera le proteste
L’ondata di proteste – cosa rara in un paese dove chi manifesta senza permesso rischia l’arresto – sta preoccupando non poco il governo di Hanoi. Il regime teme che la rabbia popolare contro la Formosa possa sfociare in xenofobia e violenza. D’altronde già nel maggio del 2014, in un periodo di crisi diplomatica tra Hanoi e Pechino in seguito al riacutizzarsi delle tensioni nel Mar Cinese Meridionale, un gruppo di manifestanti attaccò l’acciaieria taiwanese uccidendo un lavoratore cinese e ferendone decine.
L’attuale classe dirigente della Repubblica Socialista del Vietnam sa bene che lo sciovinismo è utile in tempo di guerra, quando serve avere un popolo disposto a fare qualunque sacrificio per ammazzare i nemici, ma può essere pericoloso in tempo di pace, quando bisogna attirare investimenti diretti esteri per far crescere l’economia nazionale, creare posti di lavoro ed aumentare il benessere. Il primo ministro vietnamita Nguyen Xuan Phuc ha ordinato alle autorità di indagare e punire “le forze reazionarie che incitano la gente a turbare l’ordine pubblico”, un eufemismo per stroncare le proteste colpendo leader e semplici cittadini.
I video e le immagini diffuse sui social media documentano la repressione che ne è seguita, con decine di manifestanti picchiati da agenti in divisa e in borghese e portati via dai veicoli della polizia. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), tra le persone arrestate ci sono Chu Manh Son, reporter dell’agenzia di stampa cattolica “Buone notizie per i poveri”, e Truong Minh Tam, giornalista e attivista dell’associazione “Movimento per il Sentiero del Vietnam”. Arresti e violenze contro manifestanti pacifici sono stati condannati dalle organizzazioni internazionali che si occupano della difesa dei diritti umani. «Invece che risolvere il disastro ambientale — ha detto Phil Robertson, vice-direttore di Human Rights Watch in Asia — il governo si è concentrato nell’impedire le manifestazioni e punire coloro che chiedono giustizia».
Gli interessi in gioco
Il regime continuerà a monitorare l’opinione pubblica e colpire le proteste di piazza, ma ha anche bisogno di mostrare maggiore risoluzione e trasparenza nella gestione del caso, individuare e punire i responsabili della moria di pesci e proporre un piano credibile per prevenire futuri disastri ambientali.
Farlo non sarà facile, in quanto si tratta di bilanciare i diversi e spesso contrastanti interessi in gioco. In primis gli interessi dell’economia vietnamita, che dipende fortemente da tecnologie e investimenti diretti esteri di gruppi stranieri come la Formosa Plastics, spesso non ligie alle normative ambientali.
Poi quelli dell’industria della pesca, settore che impiega il 10% della forza lavoro vietnamita e che genera il 9% delle esportazioni (pari a 7 miliardi di dollari l’anno) e l’8% del Pil. E infine quelli ambientali, in un Paese dove da vent’anni l’inquinamento di aria, acqua e suolo aumenta parallelamente agli indicatori economici.
Ambientalismo: una sfida al regime
Insieme al miglioramento della situazione economica e al peggioramento di quella ambientale, in Vietnam si sta sviluppando anche una più attenta coscienza ecologica. Molti vietnamiti sono alla ricerca di un approccio equilibrato alla crescita economica che eviti gli errori commessi da altri Paesi, dalla Gran Bretagna del Diciannovesimo secolo alla Cina moderna. Negli ultimi anni analoghe preoccupazioni si sono diffuse in altri paesi asiatici in via di sviluppo, con vari movimenti verdi che hanno germogliato dalla Cina al Laos, dalla Thailandia al Myanmar.
Dal punto di vista del governo, la rinnovata coscienza ecologica dei cittadini si aggiunge al problema delle tensioni che covano sotto i megafoni della propaganda in un Paese autoritario ma non più isolato dal resto del mondo. In Vietnam il numero dei cittadini che si informano in rete, by-passando almeno in parte la censura di regime, supera ormai i 30 milioni. Si tratta di un esercito di giovani e giovanissimi, spesso animati da fervori nazionalisti, che il regime deve saper maneggiare con estrema cura.
Se il governo non dovesse riuscire a bilanciare i vari interessi in gioco, il movimento #toichonca, nato come una semplice protesta ambientalista, potrebbe sfociare in una pericolosa sfida per il governo di Hanoi.
Alessio Fratticcioli [ Articoli | Facebook| Twitter | Google+ ]
Asiablog [ Sito | Facebook | Twitter ]
Fonte immagine: Al Jazeera