«L’ambiente umano è cambiato. L’ambiente in cui siamo forzati a vivere, in cui siamo costretti a nascere, in cui siamo cresciuti e educati, in cui ci viene insegnato che cos’è la vita, ebbene questo ambiente è cambiato. […] La nostra società, che è una società consumistica, va invece nella direzione opposta […]». (Zygmunt Bauman, Lo spirito e il clic, San Paolo Edizioni)
Da uno scambio epistolare che ho avuto col poeta viaggiatore Luca Buonaguidi è emersa una sua intervista in cui, riferendosi all’India ed agli indiani, diceva:
«[…] la più grande democrazia e il paese più religioso al mondo – con una sorta di “anarchia popolare” che funziona e sopravvive parallela alla “macchina globale” che gira a ritmi sempre più vorticosi – capace di trasformarsi da colonia inglese in una delle prime potenze mondiali in mezzo secolo mentre la sua popolazione nello stesso tempo non è riuscita a metabolizzare i cambiamenti più elementari (per esempio, si getta ovunque la plastica usata per confezionare i prodotti alimentari come se fosse ancora una foglia di banano).»
Le sue parole confermano che abbiamo la medesima visione dei sacchetti di plastica e, per parte mia, vivendo in un posto dove la foglia del banano viene ancora utilizzata come imballaggio, credo anch’io che uno dei motivi per cui i contenitori di plastica vengono gettati con noncuranza abbia una giustificazione proprio nel fatto che hanno sostituito, in molti utilizzi, la foglia del banano – da noi sostituirono carta oleata e carta paglia – anche se credo che si metabolizza quel che ti insegnano non quel che nessuno ti insegna.
Restiamo, un attimo, in India perché devo una risposta ad una lettrice che, in un commento Facebook ad un precedente post, si meravigliava del fatto che proprio l’India non facesse parte della top ten delle nazioni che abbandonano rifiuti plastici che finiscono in mare (Cina, Filippine, Thailandia, Vietnam, Indonesia, Malesia, Nigeria, Egitto, Sri Lanka e Bangladesh). Non ho una risposta ma solo supposizioni, forse il fatto che due importanti fiumi (Indo e Gange) sono in comproprietà geopolitica con altre nazioni (Pakistan e Bangladesh) o forse:
Oppure in India, nota per la carenza di servizi igienici, c’è un utilizzo alternativo:
«Il più grande contributo che i sacchetti di plastica hanno dato alla società è il loro uso come gabinetto. Nei paesi in via di sviluppo sono usati spesso come contenitori di escrementi e finiscono appesi agli alberi. Non è né bello né sostenibile, ma è meglio così piuttosto che finiscano nell’acqua da bere», scrive The Guardian.
L’articolo del Guardian mette in luce la complessità del problema plastiche con tutte le sue connesioni a produzione, imballaggio, conservazione e vendita dei prodotti alimentari e la conseguente gestione dei materiali di rifiuto. Un sistema complesso in cui sono, o devono essere, coinvolti politici, produttori e consumatori, ma i sacchetti di plastica sono solo una piccola parte del problema.
Oceani di rifiuti di plastica
di Michael Gross
La nave da ricerca Tara, una goletta costruita per la ricerca marina e polare, ha trascorso sette mesi in crociera sul Mar Mediterraneo in una spedizione per raccogliere un materiale poco affascinante che sta diventando sempre più di un problema – microplastiche. Particelle di meno di cinque millimetri di lunghezza che derivano dal decadimento fotochimico di articoli in plastica più grandi, compresi sia rifiuti terrestri che attrezzature nautiche, ma ci sono anche quelli che sono stati fabbricati con queste dimensioni, come le microsfere dei cosmetici o come pellet per la produzione di articoli in plastica.
Ciò che è chiaro finora è che i rifiuti di plastica che, per un motivo o un altro, sfuggono alla trasformazione ordinata dei flussi di rifiuti in impianti di riciclaggio, combustione o discarica possa finire negli oceani prima o poi. Materie plastiche che sono più pesanti dell’acqua di mare, come il PVC, finiranno nei sedimenti vicino alle rive in cui sono stati rilasciati. La maggior parte dei materiali plastici sfusi, inclusi polietilene e polipropilene, tuttavia, sono galleggianti e si dirigono verso il mare aperto.
Quello che succede poi è ancora una questione aperta che ha molto bisogno di essere indagata. Le opzioni includono la degradazione fino a piccole molecole […] l’incorporazione nel sedimento, e, più preoccupante, l’ingestione da parte degli animali e quindi l’ingresso nella rete alimentare. E se una quantità significativa di microplastiche entra nella catena alimentare, quali effetti avranno sugli organismi che li ingoiano?
Tutte queste domande devono essere affrontate, insieme alle questioni politiche riguardanti su come fermare il flusso di materie plastiche che scorre negli oceani. Si tratta di una grande sfida e la scienza è solo agli inizi di questa sfida. […]
Recenti ricerche hanno dimostrato che i Grandi Laghi del Nord America così come il Lago di Garda in Italia agiscono come lavandini per l’inquinamento di plastica in modo simile agli oceani. Il gruppo di Christian Laforsch dell’Università di Bayreuth, in Germania, ha dimostrato che l’abbondanza di microplastiche nel lago di Garda è paragonabile a ambienti marini, e che le microparticelle principalmente finiscono sulla sponda settentrionale del lago, probabilmente riflettendo lo schema del vento dominante e delle correnti. (Michael Gross, Oceans of plastic waste, Michael Gross, Pubblicato da Elsevier Ltd.)
Come scrive Gross, in novembre, l’Unione europea ha approvato gli obiettivi, vincolanti per gli Stati membri, per ridurre l’uso di sacchetti sottili di plastica entro il 2019, i critici hanno sostenuto che è troppo poco e troppo tardi, ovvero la politica ha ceduto altro spazio alla produzione, all’industria, e questo per motivi tanto ovvi, sul breve termine, quanto poco giustificabili sul lungo periodo.
Per ora affrontiamo, a voler usare il termine di Gross, la sfida in ordine sparso. Gli scienziati, coscienti del problema e delle difficoltà, si impegnano a studiare e divulgare; i gruppi civili, con giuste proteste, contestano le politiche inadeguate e denunciano gli scempi ed anche i singoli si ingegnano nel cercare soluzioni:
Ma, come per tante sfide che dobbiamo affrontare, domande e risposte scontano la presenza di fattori che, a prima vista, sfuggono. Cosa comporta e quanto costa la trasformazione di una catena di produzione? Quanti soldi deve sborsare il “capitale”, quanti operai perdono il lavoro? Fino a quando converrà utilizzare paesi in via di sviluppo o del terzo mondo come discariche dei paesi industrializzati?
Probabilmente, quando saremo quasi affogati dai rifiuti, il “capitale” vedrà l’opportunità nel bonificare, solo allora, questa scelta economica creerà anche posti di lavoro e questo accade per l’assenza della politica che, per sua natura, privilegia risultati a breve termine e cerca solo il consenso per il mandato successivo e quindi impossibilitata ad una visione sul lungo periodo, quel lungo periodo che ci sta sommergendo di rifiuti.
Forse proprio questa nostra egoistica visione a breve della “vita” condannerà i nostri pronipoti a vivere una vita di “rifiuti”.
Ma, come ho scritto: quali siano i meccanismi che portano all’abbandono (o alla produzione) di sostanze e oggetti non biodegradabili (e financo pericolosi), in luoghi che invece dovremmo salvaguardare resta una domanda complessa e con tante risposte.
L’ignoranza del problema rifiuti non è appannaggio unico di quei popoli che ancora sono tenuti all’oscuro del micidiale impatto che i rifiuti hanno sull’ambiente, spesso anche la nostra visione è limitata, circoscritta al visibile ed influenzata dal fatto che, molto probabilmente, la tendenza ancora in corso di prima inquinare e poi (forse) bonificare ha radici profonde nel sistema di produzione moderno e quindi nel consumismo.
Il mio viaggio dietro ad un sacchetto di plastica, dopo aver sfiorato la foce del Chao Phraya ed il lago di Garda, finisce sulla spiaggia di casa, nel delta del Po, con una vecchia diapositiva sbiadita e polverosa.
Un monito per chi guarda il mare e lo vede pulito: di tutti i rifiuti umani i più pericolosi non si vedono e solo a volte si percepiscono olfattivamente.
- Fotografia come esclamazione di vitalità - 19/08/2016
- La Thailandia, la zucca e… il peperoncino - 11/08/2016
- Hiroshima, la bomba di Dio - 06/08/2016