Reporters sans frontières (Rsf) ha pubblicato il report World Press Freedom 2016, l’indicatore della libertà di stampa nel mondo, rilevato su 180 nazioni.
Teoricamente
di Giovanni De Mauro (Internazionale n. 1147)
Nei civilissimi Paesi Bassi c’è una giornalista francese che ha passato cinque giorni in prigione per aver fatto il suo lavoro. Si chiama Florence Hartmann, negli anni novanta è stata corrispondente di Le Monde dai Balcani, poi dal 2000 al 2006 portavoce di Carla Del Ponte, procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia.
I suoi articoli e le sue inchieste sono stati fondamentali nel far luce su quello che stava succedendo nei Balcani e sull’ampiezza delle operazioni di pulizia etnica in Croazia e in Bosnia Erzegovina.
Nel 2007 ha scritto un libro, Paix et chatiment, in cui tra l’altro rivela che il tribunale si era impegnato a non rendere pubblici i documenti che la Serbia poteva consegnargli e a non trasmetterli alla Corte internazionale di giustizia. Secondo Hartmann, questi documenti provavano il coinvolgimento della Serbia nei crimini commessi in Bosnia e, se fossero stati trasmessi alla corte, avrebbero potuto portare a una condanna per genocidio per il massacro di Srebrenica, dove ottomila persone furono uccise dai serbi di Bosnia nel 1995 in una zona sotto la protezione delle Nazioni Unite.
Condannata nel 2009 per “aver ostacolato il corso della giustizia”, questa la motivazione della sentenza, Hartmann è stata arrestata giovedi 24 marzo all’Aja dove era tornata per seguire la conclusione del processo contro Radovan Karadzić. Ha scontato una pena di sette giorni (ridotti a cinque per buona condotta) ed e stata detenuta in condizioni di massima sorveglianza. Parlando al telefono con Ed Vulliamy del Guardian ha raccontato di essersi trovata nella situazione paradossale di osservare da dietro le sbarre Ratko Mladić, il comandante serbobosniaco sotto processo per l’assedio di Sarajevo e il massacro di Srebrenica, che passeggiava nel cortile del carcere mentre lei era rinchiusa in isolamento. Il direttore di Le Monde, Jerome Fenoglio, ha definito “scandalosa” la sua detenzione.
L’arresto di Florence Hartmann e stato chiaramente un gesto dimostrativo. Con l’obiettivo di intimidire i giornalisti e di farli sentire vulnerabili, perfino in paesi dove la libertà di stampa è – teoricamente – difesa.
La libertà di stampa non sembra essere collegata al grado di industrializzazione di un Paese, in quanto le nazioni del G20, vale a dire le maggiori economie mondiali, spaziano su tutto l’arco della classifica elaborata da Rsf.
A seguire i risultati per quanto riguarda i Paesi del G8, i Paesi BRICS e altri Paesi (tra parentesi la graduatoria 2016 dei singoli stati):
G8 – Germania (16), Canada (18), Regno Unito (38), Stati Uniti (41), Francia (45), Giappone (72), Italia (77), Russia (148).
BRICS – Sud Africa (39), Brasile (104), India (133), Cina (176).
Altri paesi – Australia (25), Argentina (54), Corea del Sud (70), Indonesia (130), Messico (149), Turchia (151), Arabia Saudita (165).
Tra le 180 nazioni monitorare, l’Italia scende dal 73° al 77° posto. Il passo indietro è dovuto, secondo l’indagine dell’agenzia francese, all’esistenza di un alto numero di cronisti (“tra i 30 e i 50“) sotto scorta di polizia dopo essere stati minacciati. Preoccupante anche il caso di due giornalisti, Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, che “rischiano otto anni di carcere per libri che rivelano i malaffari della Santa Sede” in connessione con gli scandali Vatileaks e Vatileaks 2.
(La Thailandia scende da 134° al 136° posto, peggio di Zimbabwe e Cambogia, ma questo non meraviglia nessuno).
Libertà di informazione sempre più giù… (Beppe Giulietti, blog Il Fatto Quotidiano)
Libertà di stampa, Italia al settantasettesimo posto? Non ci credo (Beppe Lopez, blog Il Fatto Quotidiano)
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