Come ho scritto in un precedente post:
«Secondo uno studio, pubblicato su Science, un totale di 8,8 milioni di tonnellate di materie plastiche vanno annualmente ad inquinare il mare e la sola area Asia – Pacifico ne produce 5,3 milioni di tonnellate, il 60%.»
La Thailandia, secondo Science, si piazza al terzo posto nella top ten dei Paesi che contaminano l’ambiente con le materie plastiche.
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La prima volta che visitai la Thailandia (2006), la cosa che notai quasi immediatamente fu l’uso comune ed abnorme di contenitori in plastica ed anche il modo noncurante di abbandonare questi oggetti dopo l’uso.
Vai a fare acquisti al mercato? Le porzioni di cibo pronto, ma anche verdura, frutta e dolci, sono spesso già confezionate – o confezionate ad arte sul momento (sacchetto di plastica ben gonfio d’aria e chiuso con un elastico) – ed al momento del pagamento il venditore infila il sacchetto (plastica) col cibo in una sportina (plastica), – che io ho preso l’abitudine di definire: “lo scontrino“-. Quattro alimenti diversi possono farvi diventare proprietari anche di 8 contenitori di plastica, ma non c’è un vero limite al numero di contenitori, dipende anche dal tipo di pietanza, potrebbero esserci altri 2 o 3 sacchettini col brodo e/o le salse piccanti.
Ma anche le bibite ed il caffè freddo spesso vengono vendute (con ghiaccio tritato) dentro un sacchetto (plastica) e, comunque, quasi tutte le bibite da passeggio sono vendute in bicchieri (plastica) con una cannuccia (plastica) e molte con una speciale maniglia (plastica) per comodità di trasporto… e potrei continuare con i contenitori di cibo da asporto in polistirolo e poi i piatti, le ciotole, le posate, ecc. ecc. ecc.
Tutta questa plastica, spesso, viene gettata a caso ed una parte si disperde in balia del vento e dell’acqua in attesa dei secoli necessari al suo degrado.
(I sacchetti sono solo lo 0,03% dei rifiuti marini, gran parte dei rifiuti plastici deriva da altri imballaggi, uso il termine sacchetto e/o sportina, come il generico plastica, per comodità).
Mi è anche capitato (2011) di visitare il Bangpu Nature Education Centre (chiamato anche: Bangpu Recreation Center).
Un complesso affacciato sul nord est del golfo di Thailandia, in provincia di Samut Prakan, in cui si esibisce quel che resta dell’originaria foresta di mangrovie.
La struttura offre, tra le altre cose, il pernottamento in bungalow costruiti in mezzo alle mangrovie e da questa posizione privilegiata si può toccare con mano lo stato dei fatti.
Il Bangpu Nature Education Centre mi ha deluso ma non sorpreso.
Sono nato in una zona costiera che, geologicamente, appartiene al delta del Po e ricordo la massa di oggetti di plastica che ricoprivano la spiaggia, soprattutto dopo una mareggiata ed in quantità apocalittica dopo un qualche tragico evento – naturale o meno – capitato nell’entroterra padano. Come ricordo anche la devastazione, ora in parte recuperata, dell’area valliva alle spalle del mio paese, provocata da scarichi industriali degli anni 1960/70.
Ma per ora evitiamo di porci domande troppo complesse che richiedono risposte articolate. Restiamo al nostro sacchetto di plastica ed alla domanda semplice, che viene spontanea: perché, io vedo – credo di vedere – un sacchetto di plastica in modo diverso da altri?
Molto probabilmente perché vengo da una nazione ben inoltrata, anche se lentamente dal punto di vista legislativo, verso una presa di coscienza collettiva di quanto il degrado e i danni ambientali, provocati da uno sviluppo industriale ad oltranza e privo dei dovuti controlli, siano pericolosi per la vita di tutto e di tutti.
Quando arrivai in Thailandia da noi era già iniziata la sostituzione della sporta di plastica con contenitori biodegradabili realizzati in bioplastica ricavata da mais e da altre materie vegetali. Insomma, a piccoli passi – parte della società civile si organizzò a favore della salvaguardie e del recupero del ambiente, lo Stato iniziò ad adeguare la legislazione, nei negozi la busta di plastica iniziò a non essere più gratuita, l’informazione mostrava i danni provocati all’ambiente, molte aziende di raccolta rifiuti urbani organizzarono la raccolta differenziata, ecc. ecc -.
Il dato di sintesi è che tanti italiani non vedono più nelle sportine di plastica un simbolo (una comodità) del consumismo ma un simbolo di inquinamento e degrado ambientale e le generazioni successive alla mia non potranno che far crescere questa visione. Insomma, anche se in ambito generale i danni ambientali più gravi spesso non hanno ancora trovato soluzioni definitive, la visione che ci hanno insegnato ha sicuramente cambiato il nostro modo di vedere lo smaltimento dei rifiuti.
«Un sacco di cose sono utilizzate una volta e poi non riciclate. Dobbiamo migliorare il nostro uso della plastica e monitorare anche la plastica negli oceani in modo da ottenere una migliore comprensione del problema.
Sono ottimista, ma abbiamo bisogno che i politici capiscano il problema. Alcuni lo stanno facendo – la Germania ha cambiato la propria legislazione in modo che i produttori siano responsabili per i rifiuti che producono-. Mettere più responsabilità in capo al produttore potrebbe essere una parte della giusta soluzione».(Julia Reisser, ricercatrice)
Miriadi di contenitori di plastica arrivano ancora sulla spiaggia del mio paese dopo ogni mareggiata ma il problema viene visto ed affrontato.
La vecchia “sporta della spesa“, in fibre naturali, con cui mia madre usciva di casa per andare a fare compere, ha ritrovato il posto che aveva perso. Con questa visione sono arrivato in Thailandia e solo per questo io vedo un sacchetto di plastica in modo diverso da “altri”.
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Ho mostrato solo “immagini” mirate ad evidenziare la noncuranza nel gestire i rifiuti ed il degrado che si è prodotto – senza approfondire tutti i meccanismi che generano questa situazione di degrado -.
Ho solo inseguito un sacchetto di plastica abbandonato a caso ma credo sia comunque evidente uno dei motivi per cui “altri” ancora non vedono.
Ne riparliamo e, nel frattempo, se qualcuno ha una propria opinione al riguardo: ben venga.
(foto tiziano matteucci)
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