«Non c’è dubbio che [in Occidente] la comparsa, nel 19° secolo, di così grandi scrittori, pittori, poeti, architetti, sociologi e filosofi avvenne con l’acquisizione da parte della classe media del dominio culturale.
Il contrasto col Siam non potrebbe essere più stringente. Per quanto ne sappia, Bangkok deve ancora dare i natali ad un grande scrittore, o poeta o filosofo. È Khon Khaen e non Bangkok ad aver dato i natali a Apichatpong Weerasetakul che, nei suoi quarant’anni, è considerato internazionalmente tra i più grandi registi al mondo … Ci si sarebbe attesi che un artista di quel calibro divenisse oggetto di grande orgoglio da parte della borghesia sempre ansiosa di mostrare le sue credenziali internazionali. Ed invece no, la borghesia continua a fagocitare passivamente il ciarpame di Hollywood, le ripetitive soap opera cinesi, i video giochi d’importazione.» (Benedict Anderson, intervento al forum organizzato dalla Midnight University e dalla Chiang Mai University il 26 gennaio 2011)
Le opere del regista thailandese Apichatpong Weerasethakul sono un appuntamento fisso nei maggiori festival cinematografici internazionali. Vincitore di tre premi a Cannes – dove nel 2010 col suo film, Lo zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti, ottenne la Palma d’Oro – Apichatpong è tra gli artisti thailandesi più conosciuti all’estero. Nonostante questo, le sua opere non godono di grande notorietà in patria.
Ma forse questa è una fortuna. Avendo successo soprattutto all’estero, i suoi enigmatici film non hanno bisogno dei finanziamenti dell’industria cinematografica thailandese e mantengono dunque una certa libertà nella scelta dei contenuti. Anche per questo il regista nato a Bangkok ma cresciuto in Isan è potuto diventare una significativa voce di dissenso in un Paese caratterizzato da instabilità politica e frequenti colpi di stato.
Nelle opere di Apichatpong, la cultura tailandese si presenta allo stesso tempo profonda e assurda, misteriosa e banale, eroica e insignificante.
Il suo interesse nella reincarnazione dà al suo lavoro il suo sapore più caratteristico, che gli permette di mettere in scena strane sequenze.
La reincarnazione è a tutti gli effetti una forza sociale e politica, spiega il regista in un’intervista rilasciata al Guardian:
«La gente ci crede e questo modella il loro modo di vedere la vita. La fede nel karma rende la gente sottomessa; è così che il paese viene governato.»
È in questa chiave, palesando i legami tra credenze religiose e reali rapporti sociopolitici, che l’opera di Apichatpong acquista una forte carica di contestazione e di critica radicale dell’ordine costituito.
Ricordando che in Thailandia persino l’esercito ha il suo indovino, Apichatpong conclude: «Il Paese è governato dalla superstizione».
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