Pubblicazione trimestrale. Anno II numero 3. Prezzo di copertina Lire 5.000.
Collana di monografie a cura di Roberta Clerici e Ando Ghilardi.
Art Director: Giancarlo Iliprandi. Grafico: Cristina Bacigalupo.
Collaboratori: Fabio Amodeo, Marina Cacciò, Enrico Crastruccio, Gruppo AV70, Gabriele Mazzotta, Patrizia Piccini, Edo Prando, Pier Raffaelli, Maurizio Rebuzzini, Martino Schiena, Sergio Sisti, Santi A. Urso.
Come, perché, a chi?
Fabbricando con qualche gusto questo terzo numero di Phototeca, abbiamo riscoperto quello che tutti sappiamo: la fabbricazione delle immagini che, con un termine ancor più pertinente di erotiche o audaci o porno oppure oscene, definiamo qualche volta «sconvenienti» è incomparabilmente maggiore della misura globale di tutti gli altri generi che non definiamo «convenienti» anche se in realtà dovremmo per opposte ragioni delle prime. Però questo rapporto non è stato sempre vero, ha cominciato ad esserlo da quando di figure, e intendiamo identiche, se ne sono prodotte più di una. Servendosi dei torchi e molto prima dell’invenzione delle macchine fotografiche.
Adesso, riuscite a immaginare una storia del Risorgimento nella quale non si nomina mai Giuseppe Garibaldi? Se fosse, per ipotesi, sarebbe peggio di un libro incompleto: grottesco. Ebbene, i libri di storia della fotografia, tolta probabilmente un’unica eccezione, sono proprio cosi: grotteschi. Essi non parlano di quella sconveniente: cacciata via da tutta la cultura visiva, essa lo è ancor prima da quella intorno al mezzo che trova proprio in essa la sua maggiore applicazione e la ragione della sua maggiore diffusione fra la gente.
Questo «sapere» falso e miserando, gestito nell’ultimo mezzo secolo da quattro-cinque poveri intendenti – al servizio di altrettante industrie, che peraltro fiaccamente li sopportano perché non rendono quello che gli costano – si produce all’interno di una ancor più grande miseria: quella di una squallidissima cultura intrecciata nel sociale.
Scrive Roland Barthes nel suo «Camera chiara» (Einaudi 1980): «… i libri che parlano di Fotografia sono assai meno numerosi di quelli dedicati a qualsiasi altra arte…» e cerca di spiegare, e con fatica, che questo dipende dalla comune incapacità di vedere nella fotografia (con la f minuscola, stavolta) nulla di più di quello che rappresenta. Intende proprio dire vederla in sé come esemplare e come categoria insieme: «… qualunque cosa ci mostri e quale che sia la sua maniera, una foto resta sempre invisibile: quello che noi vediamo non è lei …».
Guardando «un» quadro noi vediamo e pensiamo specialmente «la» Pittura. Quello che il quadro rappresenta è un punto, è un momento della Storia dell’arte: il significato del soggetto è il dettaglio di un significato più ampio e che trascende la cosa resa visibile.
Guardando «una» fotografia, chi vede «la» Fotografia? Nessuno è capace di pensarla al di fuori della sua totale umiliazione al servizio di ciò che rappresenta: essa è un punto, un momento di una qualunque storia tranne che della propria. Quando vi si recupera, l’umiliazione è ancor peggiore, poiché lo scopo è quello di accreditare il mezzo della fotografia, non questa, non il suo «prodotto» avulso da quello. Lo scopo, insomma, è quello di proclamare la capacità della Fotografia in quanto Mezzo per rimediare all’incapacità di un uomo senza capacità, culturalmente e socialmente riconosciute, di esprimersi con la rappresentazione, quando quel Mezzo gli manca.
Più brutalmente: la macchina fotografia è la «licenza» che bisogna acquistare per esprimersi.
E così la fotografia diventa «socialmente utile» proprio perché si nega all’utilità individuale: in quella distinzione decretata fra immagini «sconvenienti» e «convenienti» abbiamo la miglior verifica del teorema. E sconvenienti sono le immagini sessuali anche perché, come tali, non sono equivoche.
«Niente è più omogeneo – scrive ancora Roland Barthes – di una fotografia pornografica. Proprio come una vetrina che esponga, illuminato, un solo gioiello, la foto pornografia è interamente costituita dall’ossessione di una sola cosa: il sesso; in essa non vi è mai un oggetto secondo, intempestivo, che venga a nascondere in parte, a ritardare, a distrarre…».
Questo terzo numero di Phototeca affronta per la prima volta, ed è lontano naturalmente dal risolverla, forse meno dal definirla, la questione essenziale della Fotografia, nella sua divisione fra immagini «sconvenienti» (a chi, perché, come) e immagini «convenienti» (come, perché, a chi). Per quanto queste pagine trabocchino di organi sessuali, anzi proprio per questo, e per il perché e a chi e come si rappresentino, è probabilmente, questo che avete fra le mani, il primo libro non osceno di storia della Fotografia.
(Editoriale del n.3 -Anno II (1981)- di Phototeca)
- Fotografia come esclamazione di vitalità - 19/08/2016
- La Thailandia, la zucca e… il peperoncino - 11/08/2016
- Hiroshima, la bomba di Dio - 06/08/2016