A suo tempo, «contro i “parolatori”, maestri nell’arte del «dolce dir niente», il professor Marco Marchi dell’Università di Pisa e il professor Piero Morosini, dell’Istituto superiore della sanità, hanno condotto uno studio linguistico, intitolato Prontuario di frasi a tutti gli usi per riempire il vuoto di nulla.
Intrecciando a piacere i vari elementi di cui é composto, si possono ottenere dieci milioni di frasi assolutamente prive di significato. Lo offriamo a Pierino (che quando si rivolge al capo dell’istituto dice ancora, rispettosamente, «signor preside», non «signor professore in posizione apicale») quale esempio luminoso di come non si deve scrivere in italiano.» (Impariamo l’italiano, Cesare Marchi – Ed. Rizzoli)
Di seguito trovate le due pagine del Prontuario.
Ma, a quanto pare, dall’italiano senza significato, siamo arrivati all’italiano inintelligibile ed a questo punto:
“Non è giusto dire che queste discussioni siano inutili. Ogni volta che affiora la questione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l’allargamento della classe dirigente, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare-nazionale, cioè di riorganizzare l’egemonia culturale” (Quaderni del carcere, Antonio Gramsci, Ed. Einaudi).
Nel documento, Perché votare NO, preparato dal professor Gustavo Zagrebelsky in vista del referendum costituzionale, si possono leggere validi argomenti a sostegno della tesi contraria alla riforma della Costituzione italiana in corso d’opera.
E, al punto 14 si tocca anche l’argomento “lingua italiana”. Zagrebelsky scrive, chiaramente, che qualcosa “non si capisce“:
«Quanto poi alla bontà del testo di riforma dal punto di vista tecnico, ci limitiamo a questo esempio, la definizione delle competenze legislative da esercitare insieme dalla Camera e dal Senato (sì, il Senato rimane, il bicameralismo anche e, se la seconda Camera non si arenerà su un binario morto, i suoi rapporti con la prima Camera daranno luogo a numerosi conflitti):
“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per (sic!) le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’art.71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella (?) che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore e di cui all’ art. 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116 terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma ”.
Se questo pasticcio è il prodotto dei “tecnici”, noi diciamo che hanno trattato la Costituzione come una legge finanziaria o, meglio, come un Decreto mille proroghe qualunque: sono infatti formulati così.
Quanto ai contenuti, come possono i “tecnici” non aver colto le contraddizioni dell’art.5, noto perché su di esso si è prodotta una differenziazione nella maggioranza, poi rientrata. Riguarda la composizione del Senato e non si capisce se i senatori rappresenteranno le Regioni in quanto enti, i gruppi consiliari oppure le popolazioni; non si capisce poi se saranno effettivamente scelti dagli elettori o dai Consigli regionali. Saranno eletti – si scrive – dai Consigli regionali “In conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri”.
Ma, se queste scelte saranno vincolanti, non ci sarà elezione ma, al più ratifica; se non saranno vincolanti, come si può parlare di “conformità”. Un pasticcio dell’ultima ora che darà filo da torcere a che dovrà darne attuazione: parallele convergenti, quadratura del cerchio …
Agli autorevoli fautori di norme come queste, citate qui a modo d’esempio chiediamo sommessamente: dite con parole vostre e con parole chiare che cosa avete voluto. (…) Questi tecnici non hanno dato il meglio di sé, forse perché hanno dovuto nascondere nell’oscurità l’assenza di chiarezza che ha regnato nella testa di coloro che hanno dato loro il mandato di scrivere queste norme.»
Per parte sua il Governo ha affidato alla ministra Maria Elena Boschi di dare una qualche risposta al fronte del NO e, forse ad abundantiam, oltre ad un italiano incomprensibile, aggiunge frasi comprensibili ma al lordo di “non verità”.
«L’avvocata Maria Elena Boschi, amica del presidente del Consiglio e incidentalmente ministra della Repubblica, ci spiega dall’alto scranno della Ricostituente perché la sua riforma sia il non plus ultra della democrazia.
Giorni fa l’ha fatto con una lettera al Corriere, nella quale un passaggio adamantino ci ha edotto su quale sarà lo stile della futura Costituzione: “Non sarà un voto contro quello al referendum di ottobre, ma per, aperto al cambiamento, se è solo se saremo in grado di rendere il meno accidentato possibile questo percorso di decisione, di definizione di Lebenschancen per dirla con Dahrendorf, questa assunzione di responsabilità da parte dei cittadini che siamo”.
Se è tutto chiaro, passiamo all’editoriale sulla fanzine l’Unità, dove Boschi si fa più precisa, chirurgica.
Prendete il passo: “Il disegno di legge costituzionale presentato dal governo è stato prima sottoposto anche da parte del nostro governo ad una consultazione pubblica”, che a una analisi logica stretta parrebbe voler dire che prima di qualcosa il governo e altri soggetti non identificati hanno sottoposto il ddl ai cittadini, il che non risulta. Ma un genio precoce della politica ha il cervello che bolle, se ne frega della lettera.
Quanto al merito, Zagrebelsky spòstati: “Ricordo che il governo e la maggioranza che sostiene il governo ha fatto la scelta del referendum in tempi non sospetti”, e qui la massima costituzionalista vivente dimentica che il referendum confermativo non è una concessione degli amici di Matteo ma è previsto dalla Costituzione (art. 138) qualora alla seconda lettura la riforma non dovesse ottenere la maggioranza dei 2/3 dei componenti delle Camere, e non lo chiede il governo, basta che ne facciano domanda 1/5 dei membri di una Camera o 500mila elettori o 5 consigli regionali.
Sintetizza l’emerita: “Possiamo raggiungere un obiettivo principale che riassumo in una sola parola: la semplicità”, che sarebbero due, ma “il rischio vero della democrazia è nel non decidere mai”, dal che si evince che l’insegnante di educazione civica della Boschi non le ha mai detto: signorina, faccia attenzione, anche il Gran Consiglio del fascismo decideva.
Comunque, i nuovi padri costituenti hanno giurato che se al referendum vince il No andranno a casa: il che secondo loro è una minaccia che ci farà votare Sì.» (Boschi e la Costituzione di massima di Daniela Ranieri – il Fatto quotidiano, 13 marzo 2016)
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