Come l’America può rimettere la Thailandia sul binario giusto
di Tom Felix e Ilya Garger, The New York Times, 22 marzo 2016
Nel 2014, quando hanno spodestato il governo civile eletto democraticamente, i generali guidati da Prayuth Chan-Ocha promisero di ristabilire l’ordine e sradicare la corruzione. Invece, una volta al potere, la giunta militare è diventata sempre più imprevedibile, incapace e repressiva.
L’economia è stagnante. La minaccia di disordini sociali è in aumento. Il governo Prayuth ha recentemente completato un progetto di costituzione che garantisce ai militari di mantenere le loro mani sul reale potere anche dopo il ritorno formale ad una democrazia elettorale.
Come rimettere in carreggiata la Thailandia è una questione in gran parte dei thailandesi. Ma l’America, che è stata la nazione straniera che ha dominato la politica thailandese dopo la seconda guerra mondiale, può contribuire a frenare i metodi sempre più dittatoriali della giunta isolandola dalla sua base d’appoggio: le élite tradizionali di Bangkok.
Durante i primi anni della guerra fredda, il governo degli Stati Uniti mise il proprio peso dietro l’esercito thailandese e la monarchia, trattandoli come alleati essenziali nello sforzo di trasformare la Thailandia in un baluardo contro il comunismo. L’aiuto militare americano è iniziato nei primi anni Cinquanta ed è andato aumentando man mano che i comunisti guadagnavano terreno in Vietnam.
Nel 1966 c’erano più di 25.000 soldati americani di stanza in Thailandia. La maggior parte delle missioni di bombardamento americane in Indocina è partita dalla Thailandia. Il costo annuo delle bombe sganciate su Vietnam del Nord e Laos supera il valore dell’economia thailandese dell’epoca.
In quei frangenti, Washington chiudeva un occhio sugli abusi e la corruzione in Thailandia. L’esercito thailandese esagerò la minaccia rappresentata dai comunisti thailandesi allo scopo di arginare il dissenso popolare contro il regime di Bangkok, a volte ricorrendo a omicidi politici e ad esecuzioni sommarie. Il generale Sarit Thanarat, un fedele alleato americano, che governò dal 1957 fino alla sua morte nel 1963, si dice che abbia accumulato [illegalmente, ndr] oltre 100 milioni di dollari. Alti generali furono coinvolti nel traffico di stupefacenti coltivati nel nord della Thailandia e nelle regioni confinanti. Il patrocinio dell’America diminuì con la fine della guerra del Vietnam, ma i suoi effetti oggi rimangono.
I leader del colpo di stato del 2014, che giunsero alla maggior età tra il 1960 e il 1970, sembrano guardare alla democrazia come una volta facevano col comunismo: un’ideologia straniera che minaccia la rete di potere dell’élite monarchica di Bangkok, l’élite che loro sono stati addestrati a proteggere. I generali non sopportano la rete di potere alternativa incentrata su Thaksin Shinawatra, un magnate delle telecomunicazioni divenuto uomo politico, che è emerso sulla scia della crisi finanziaria asiatica del 1997-1998. Eletto primo ministro nel 2001, Thaksin ha perseguito diversi programmi economici di assistenza per i poveri delle campagne. Questo gli ha portato una grande popolarità, e questo significa che non aveva bisogno di fare affidamento sulle tradizionali reti clientelari monarchico-militari. In parte per questo motivo, l’esercito lo depose nel 2006. Allo stesso modo, nel 2014 è stata la sorella Yingluck, eletta tre anni prima, ad essere spodestata dai militari. (In entrambi i casi, il palazzo ha prontamente riconosciuto i governi militari che avevano preso il sopravvento).
I metodi dei militari oggi riflettono il lascito del passato coinvolgimento americano. L’Internal Security Operations Command dell’esercito thailandese, su cui i recenti governi militari hanno fatto affidamento per la repressione delle critiche, è una filiazione del Communist Suppression Operations Command che venne creato con l’aiuto di Washington nel 1960. Entrambi gli organismi sono stati implicati nelle atrocità della guerra fredda.
Counterinsurgency e tattiche di guerra psicologica, il pezzo forte della cooperazione americano-thailandese degli anni Cinquanta e Sessanta, a caratterizzare la campagna della giunta denominata “Returning happiness to the people (Ridare felicità al popolo)”. Un programma che in in sostanza si preoccupa di diffondere propaganda nazionalista e monarchica. I critici del governo Prayuth vengono sottoposti alla cosidetta “attitude adjustment“, termine orwelliano che sta a significare detenzione, abusi e, secondo alcuni, la tortura dei dissidenti.
Eppure gli Stati Uniti hanno fatto poco finora per frenare tali eccessi o premere sulla giunta al potere perché si faccia da parte. C’è stata solo qualche occasionale dichiarazione critica ed il congelamento di un paio di milioni di dollari in aiuti militari. Dopo il colpo di stato le abituali esercitazioni militari annuali tra esercito statunitense e thailandese, note come Cobra Gold, hanno continuato a essere svolte, anche se in forma ridotta dopo il recente.
Il mese scorso, al vertice Stati Uniti-ASEAN in California, il presidente Obama ha detto che l’America continua “a incoraggiare il ritorno al governo civile” in Thailandia, ma poi ha posato per le amichevoli foto di rito col generale Prayuth.
Al contrario, Washington dovrebbe isolare l’esercito thailandese dai suoi sostenitori tradizionali per privare la giunta di una fonte cruciale di legittimità e sostegno. Agendo con l’Unione Europea, il Giappone e gli altri alleati, l’America dovrebbe penalizzare non solo i generali coinvolti nel colpo di stato del 2014, ma anche i civili che il governo ha nominato per quelle istituzioni che approvano automaticamente e docilmente le decisioni della giunta.
Gli Stati Uniti sono in una posizione di forza per farlo. I ricchi thailandesi hanno portato beni all’estero ad un ritmo impressionante da quando Thaksin è stato rovesciato nel 2006. I loro investimenti annuali all’estero sono aumentati di dodici volte, secondo la Banca di Thailandia, e ora ammontano ad un terzo del PIL della Thailandia. A causa dei legami finanziari e personali di vecchia data verso l’Occidente, gran parte di questa ricchezza è negli Stati Uniti e in nazioni dell’Unione Europea.
La giunta si è impegnata a migliorare i legami economici e militari con Pechino. Ma la sua “carta cinese” è troppo debole per compensare la perdurante importanza di Washington. I problemi principali di sicurezza in Thailandia sono: terrorismo, rifugiati, rivolta islamica nel sud, tutti problemi che sarebbe meglio affrontare cooperando con gli Stati Uniti. E le élite conservatrici del paese, disinnamorate della democrazia, continuano a favorire l’Occidente sulla Cina per i loro investimenti, l’istruzione dei loro figli e le loro vacanze.
Approfittando di questa evidenza, gli Stati Uniti dovrebbero contribuire allo sforzo di sottoporre queste élite e i generali coinvolti nel colpo di stato del 2014 a restrizioni su viaggi e transazioni finanziarie.
Secondo un aggiornamento (2014) di un classico studio pubblicato dall’Istituto Peterson, 16 dei 35 programmi di sanzioni introdotti tra il 1970 e il 2014 allo scopo di stimolare un “moderato cambiamento politico” hanno avuto successo. Lo studio ha anche dimostrato che tali misure funzionano meglio quando il loro obiettivo è moderato e quando sono usate per fare pressione su governi amici, piuttosto che nemici.
Le sanzioni che proponiamo non sono finalizzate ad imporre un cambio di regime. L’obiettivo è quello di accelerare il ritorno della Thailandia alla democrazia elettorale, che la giunta afferma di volere, e con un sistema in cui i governi sono eletti senza interferenze militari. La Costituzione thailandese del 1997, che è ampiamente considerata come la più pluralista nella storia del paese, potrebbe servire da guida.
Per decenni l’America ha rafforzato l’esercito thailandese per promuovere i propri interessi, a scapito dello sviluppo democratico della Thailandia. È ormai il tempo per Washington di provare a risolvere il problema che ha contribuito a creare. Essendo il più influente alleato di Bangkok, gli Usa dovrebbero fare tutto il possibile per fermare una giunta che vuol far tornare indietro il Paese.
(traduzione testo e immagine da: How America Can Put Thailand Back on Track)
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Quanto vi paga il fuggitivo per rendervi complici e proteggere i suoi interessi economici? Il gemello di Berlusconi per fortuna ha trovato qui chi ha saputo metterlo in riga…. E questi paragoni con la vecchia lotta al comunismo sono completamente fuori luogo… Qui state difendendo un ladro che aveva messo a terra tutte le imprese pubbliche per favorire tutti i suoi affari privati….. Fossero cosi’ cattivi questi militari dovrebbero si venire a cercarvi….
Se permetti, sui Shinawatra viene fatta un’affermazione (governi eletti estromessi dai militari) storicamente incontestabile, ed un’analisi politica relativa al fatto che Taksin si stava affrancando dalle élite.
Poi se ci mettiamo a discutere di come siano stati i governi Shinawatra e quanto era perfetta la democrazia e la legge elettorale che li ha portati al governo perdiamo la rotta … usavano politiche populiste? usavano violenza e corruzione? ammesso e non concesso – nulla c’entra con il ripristino della democrazia (o di una democrazia) … la proposta che (non) hai letto può non piacere ma è un qualcosa di concreto … insomma, come fossero i governi Shinawatra non rientra nell’analisi che si rivolge solo ai rapporti storici (acclarati) con gli Usa.
Gestire la democrazia (ad averla) è ancor più difficile che liberarsi di una tirannia…. ma se vuoi leggerci un’apologia dei Shinawatra libero di farlo ma, per me, stai solo dando voce ai tuoi fantasmi … solo una preghiera, evita di offendere e prova a dialogare.