di Guido Rampoldi (il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2016)
‘Siamo in guerra‘, come sosteneva ieri mattina Manuel Valls dando il primo colpo al tamtam delle dichiarazioni forti che rimbomberanno stamane nelle prime pagine?
Le apparenze non smentiscono il primo ministro francese. Le scene stralunate dei massacri di Bruxelles ricordano troppo le città siriane bombardate. E i terroristi hanno confermato un’efficacia militare così devastante da sbriciolare un ’illusione durata appena tre giorni: la cattura e il pentimento di Salah Abdeslam, ricercato per gli attentati di Parigi del novembre scorso, non ha impedito all’Isis di colpire l’Europa nel suo cuore politico, a due passi dai palazzi dell’Unione, insomma in uno dei luoghi più sorvegliati del continente.
Eppure mai come in questi momenti sarebbe necessario un linguaggio limpido: e quel ‘siamo in guerra’ non gli appartiene.
La formula piace molto, anche per la capacità di evocare l’attacco asimmetrico che ci muove un quasi-Stato, il Califfato, costringendo una capitale europea a tapparsi in casa.
Ma è opaca, ambigua. Non è chiaro dove conduca. Essendo la guerra l’unica condizione nella quale una democrazia liberale può limitare lo stato di diritto, quel ‘siamo in guerra’ potrebbe alludere alla necessità di leggi d’emergenza, la strada già imboccata dal governo francese. Ma è perlomeno dubbio che questa soluzione aiuti, anzi può risultare perfino controproducente se si traduce in condotte autoritarie della polizia.
Oppure ‘siamo in guerra’ vuole incitarci ad attaccare l’Isis nei suoi territori, la Libia, il Siraq. La soluzione militare. Che ha una sua legittimità (chi la nega vada a negoziare la mitica soluzione politica con il Califfo, e se riporta indietro la testa ci dica com’è andata).
Ma al momento sconta la mancanza di una strategia, senza la quale andremmo diritti incontro ad una sconfitta. Quel che è peggio il ‘siamo in guerra’ lascia nel vago chi sia esattamente il nemico. L’Isis, certo.
Però in Italia importanti giornali scrivono normalmente che non vi è reale differenza tra Isis e islam moderato, che insomma se gratti il musulmano, qualsiasi musulmano, trovi il terrorista.
Altri media non arrivano a tanto ma sposano una tesi, il conflitto tra civiltà (chiodo fisso di Valls), che inevitabilmente oppone un ‘noi’ ad un ‘loro’ onnicomprensivo, trincea nella quale ogni islam risulta adiacente all’Isis.
Altri ancora pretendono che ciascun islamico abiuri pubblicamente l’Isis, richiesta di per sé insultante.
Il risultato di queste animosità variamente vestite è di rafforzare in alcuni musulmani la convinzione che l’Italia e l’Europa ‘cristiana’ non potranno mai essere la loro patria.
E qui siamo alla questione cruciale affiorata negli ultimi mesi: la neutralità di segmenti della popolazione musulmana in Europa.
I jihadisti dell’Isis sono pochissimi, rispetto ai 17 milioni di musulmani che vivono dentro i confini dell’Unione europea. Ma hanno potuto nascondersi in quartieri a maggioranza araba di Bruxelles o di Parigi perché nessuno li ha denunciati.
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Fonte immagini: Il Post
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