Di Matthew Tempest, 16 marzo 2016, EurActiv.com
Quando la Royal Thai Army, nel maggio del 2014, ha messo a segno il suo colpo di stato ai danni di un governo democraticamente eletto, la Thailandia era la seconda più grande economia dell’’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN) ed era sul punto di firmare un accordo di libero scambio con la UE, accordo subito fermato dalla Commissione europea, per poi essere accantonato a tempo indeterminato, stante la giunta militare al potere.
La Commissione europea è pronta a prendere, da un giorno all’altro, una decisione sul divieto di tutte le importazioni di pesce thailandese verso l’Unione europea, un’industria dal valore di circa 3 miliardi di dollari nel 2014.
Le diffuse accuse di violazioni dei diritti dei lavoratori nelle industrie della frutta e della pesca – due settori chiave dell’economia thailandese – hanno macchiato la reputazione internazionale del paese. Anche le esercitazioni militari con gli Stati Uniti – pur non cancellate del tutto – sono state declassate.
Come riportato da EurActiv.com nel novembre scorso, dopo che le speranze di un unico accordo commerciale (FTA – free trade area) tra UE e ASEAN era svanito, la Commissione aveva preso in considerazione la firma di accordi bilaterali con singole nazioni ASEAN. Erano state scelte Singapore, Vietnam e Thailandia.
Miguel Ceballos Barone, vice capo di gabinetto del Commissario al commercio Cecilia Malmström, lo scorso anno aveva detto che Singapore era stato scelto perché era “[il mercato] più aperto, snello e ambito” tra le economie ASEAN, il Vietnam perché era un [mercato] “in sviluppo e potenzialmente emergente” e la Thailandia perché era “[un mercato] via di mezzo tra i primi due”.
Ma il rovesciamento di un governo eletto democraticamente va contro l’etica del “Commercio con tutti” sostenuto da Cecilia Malmström, in quanto, in tutti i futuri accordi commerciali si comprende anche la salvaguardia dei diritti umani e dell’ambiente.
Secondo Barone la Commissione europea non aveva altra scelta che sospendere i colloqui con Bangkok – che erano “molto avanti“, ed ha aggiunto, riferendosi ai social media e alle proteste popolari contro TTIP e altri accordi commerciali, che se anche la Commissione fosse incline a firmare un accordo di libero scambio con la Thailandia, questo non verrebbe “mai” ratificato dal Parlamento europeo mentre la giunta è al potere.
È importante notare come l’FTA non sia stato completamente abbandonato. Si potrebbe, in teoria, riproporlo a seguito di una proposta di elezioni in Thailandia nel 2017, presumendo che le elezioni siano democraticamente adeguate.
Ma, allo stato attuale, la giunta thailandese ha preoccupazioni più urgenti a cui pensare.
Il governo è in attesa di un annuncio, da parte della Commissione europea, che vorrebbe imporre un divieto assoluto di esportazioni di pesce thailandesi a tutti i 28 stati membri.
Questo a seguito delle violazioni dei cosiddetti protocolli di “pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata” (IUU), la Thailandia è stata avvertita, una sorta di cartellino giallo, ad aprile 2015.
Un team di ispettori UE è volato in Thailandia nel mese di gennaio per ispezionare le misure finora adottate da Bangkok e si è in attesa di una decisione. L’estrazione di un ‘cartellino rosso’ significherebbe la chiusura immediata del mercato europeo all’industria ittica thailandese, un settore dal valore di circa 3 miliardi di dollari annui è che comprende anche il ramo chiave del tonno in scatola, di cui la Thailandia è uno dei più grandi produttori al mondo.
Pochi a Bruxelles si aspettano che il “cartellino giallo” possa diventare “rosso”. Ma non è impossibile: Belize, Guinea, Cambogia e Sri Lanka hanno in passato subito sanzioni simili. Per l’economia thailandese, sarebbe un duro colpo, un evento che la giunta sembra temere.
Infatti il Generale Prayuth, il giorno di Natale, nel suo messaggio al popolo thailandese, ha promesso degli interventi nel settore:
“Dobbiamo riconoscere che i guasti sono esistiti per lungo tempo e stabilire un chiaro ordine del giorno per quanto riguarda la legislazione, in modo da punire i responsabili e aiutare le vittime, assicurando un monitoraggio continuo e a largo raggio del settore della pesca.”
La dimostrazione di quanto sia urgente rispondere alla minaccia di pesanti sanzioni da parte dell’UE viene anche dal fatto che Prayuth, il venerdì successivo, ha ripetuto il medesimo concetto nel suo consueto discorso televisivo del venerdì. Senza dimenticare che a febbraio, su The Economist, è stato pubblicato a spese del governo thailandese un annuncio che celebrava i successi del governo stesso nella repressione delle violazioni dei diritti dei lavoratori nell’industria ittica.
Ma il settore della pesca è solo uno dei settori, anche se il più importante, in cui la Thailandia è accusata di abusi sui lavoratori. Un altro è l’industria conserviera della frutta, dove abbondano le accuse di sfruttamento dei lavoratori, in particolare di lavoratori migranti.
Tuttavia, l’esperienza di un attivista, l’avvocato britannico Andy Hall, fa pensare che la risposta della Thailandia sia quella di sparare al messaggero – o, in questo caso, intervistatore – piuttosto che affrontare i problemi del messaggio.
C’è un video, prodotto da una Ong finlandese, in cui Andy Hall intervista i lavoratori di un’azienda di frutta in scatola che esporta sul mercato europeo delle bevande, in cui vengono presentati casi di lavoro forzato, lavoro minorile, violazione di legge su salari e orari di lavoro. Anche se non ha avuto alcun ruolo nella stesura della successiva relazione, “Il basso costo ha un alto prezzo“, Hall a maggio deve affrontare un processo con sette capi d’accusa per diffamazione. Se riconosciuto colpevole, il giornalista rischia otto anni di carcere. È anche personalmente citato in giudizio per 7 milioni di euro.
Il Regno Unito e i diplomatici finlandesi monitorano il caso, che è stato oggetto di una forte condanna da parte del Parlamento europeo, dove, l’eurodeputato britannico Glenis Willmott (laburista), ha difeso Hall.
Come sarà il futuro?
Le altre principali industrie della Thailandia sono l’elettronica, la componentistica auto, il tessile ed il turismo. È anche una grande esportatrice di stagno e tungsteno, e, cerca di promuovere se stessa come futuro polo asiatico per il turismo medico, della biotecnologia e la manutenzione degli aeromobili.
Nello scorso mese di gennaio, ad un seminario per imprenditori a Bruxelles, il governo thailandese ha tenuto a presentarsi come sede stabile ed all’avanguardia per gli investimenti esteri.
I funzionari dell’ambasciata hanno delineato le agevolazioni fiscali – fino a 8 anni di esenzione dall’imposta sul reddito delle società, con una possibile successiva riduzione del 50% – ed hanno pubblicizzato la Thailandia come un sito per i nuovi “cluster” di innovazione, come la robotica, l’automazione, il digitale e la tecnologia medica. Insistendo sul fatto che il colpo di stato militare non aveva influenzato negativamente la fiducia degli investitori. Duangjai Asawachintachit, vice segretario generale del Thailand Board of Investment (BOI), ha detto alla riunione:
«Fortunatamente, gli investitori non sono stati troppo duri con noi [dopo il colpo di stato], data la nostra situazione, perché … in realtà nel 2014, [quando] il cambiamento [del governo] ha avuto luogo, il BOI ha raggiunto i risultati più alti mai registrati negli ultimi 50 anni. Normalmente ricevevamo 1.600 domande di progetti all’anno, ma nel 2014 abbiamo ricevuto 3.100 progetti».
Ed ha aggiunto:
«Se si guarda indietro, a quanto è successo in Thailandia, certo abbiamo attraversato tante cose, ma l’unica cosa che è molto evidente è che nulla ha mai avuto alcun impatto sulle nostre politiche economiche».
Questo contrasta molto col parere ufficiale del governo degli Stati Uniti, che ha fatto notare come “L’economia [thailandese] ha sperimentato una crescita lenta ed esportazioni in calo nel 2014, in parte a causa di turbolenze politiche nazionali e ristagno della domanda globale“.
I dati per il 2015 non sono ancora disponibili, ma la Banca Mondiale prevede una crescita di appena il 2,5%, il che significa per la Thailandia diventare il paese più a lenta crescita dell’ASEAN.
Uno dei primi incontri del generale Prayuth, pochi giorni dopo la presa del potere nel 2014, è stato l’incontro con gli investitori europei dell’Associazione Thai-European Business (TEBA), dove disse:
«Non siamo dittatori, che danno solo ordini a tutti. Sono disposto a fare di tutto. Basta che mi si mostri la vostra tabella di marcia degli investimenti».
Ma forse nessun segnale più pungente, di come la Thailandia sia caduta in disgrazia, rispetto ai suoi vicini ASEAN, dopo il colpo di stato militare, è occorso in occasione del ricevimento, offerto il mese scorso in California, dal presidente Barack Obama in occasione del vertice USA-ASEAN.
Il primo ministro di Singapore, Lee Hsien Loong, è stato festeggiato durante la sua permanenza presso la sede di Sunnylands, gli sono state concesse udienze private con il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, e il CEO di Apple, Tim Cook, un pranzo con il fondatore di PayPal, Dan Schulman, ed ha anche fatto un giro con Elon Musk su di una auto elettrica Tesla.
Una netta contrapposizione con Prayuth che è stato accolto, dal presidente Obama, con un secco: “Continuiamo a favorire il ritorno di un governo civile in Thailandia.”
Contesto
La politica thailandese dei giorni nostri è stata forgiata nelle rivolte studentesche degli anni 70 del secolo scorso, prima nel 1973 contro il dittatore militare anti-comunista Thanom Kittikachorn, un alleato degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. Il suo ritorno nel paese nel 1976 ha visto il rinnovarsi delle proteste studentesche, che si conclusero col massacro alla Thamassat University, un attacco ai manifestanti pacifici da parte dei militari che ha visto decine, forse più di 100, morti. Gli esperti ora ritengono che i militari intendono rimanere al potere per provvedere alla successione reale – una situazione potenzialmente esplosiva perché la maggior parte dei thailandesi non ha mai vissuto con un altro capo di stato [Re].
Gli esperti ora ritengono che i militari intendono rimanere al potere per provvedere alla successione reale – una situazione potenzialmente esplosiva perché la maggior parte dei thailandesi non ha mai vissuto con un altro capo di stato [Re].
La politica thailandese contemporanea è divisa tra i fratelli Shinawatra, che sono stati eletti per due volte ed entrambi spodestati – prima il miliardario magnate delle telecomunicazioni Thaksin (2001-2006), poi sua sorella Yingluck (2011-2014) – e frequenti ritorni a governi militari.
Thaksin è ora latitante a Dubai e con molti punti interrogativi circa il suo ruolo nelle uccisioni extragiudiziali di circa 2.000 spacciatori di droga avvenute durante il suo governo. [L’attuale posizione di Yingluck è sopra riportata]
I sostenitori dei Shinawatra, in gran parte contadini e classi lavoratrici del nord, indossano camicie rosse, in opposizione alle camicie gialle [sostenitori dell’ Alleanza del popolo per la democrazia – comunemente: Partito democratico], che sostengono l’esercito e la monarchia.
(Libera traduzione e immagine da: Thailand’s economy: Free trade, fishing and fruit industries in the spotlight)
Questo articolo fa parte di Unione Europea – Thailandia, le relazioni dopo il colpo di stato, un report speciale di Eur Activ.com
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