La notizia che la giunta militare thailandese avrebbe stilato una lista nera di circa seimila persone di presunta pericolosità per la comunità non è certo una notizia irrilevante ma neppur inaspettata.
A parte il discutibile, ma non certo innovativo, metodo di catalogare le persone, non ci si poteva certo aspettare che non esistesse una “lista dei cattivi” compilata dal governo militare del Regno di Thailandia.
La ricerca del consenso popolare, quando si afferma che nella lista ci sono “alti funzionari, ufficiali del governo e della sicurezza”, stride col semplice fatto che, se si cerca giustizia, questo compito spetta solo al Potere Giudiziario (che in uno stato di diritto è sempre separato dal governo, che esercita il potere esecutivo) e conferma solo il comune sentimento di abbandono, da parte dello Stato, nell’illegalità (corruzione, sfruttamento, mafie) in cui vive una buona parte dei thailandesi (e qui direi che la ‘cosa’ mi ricorda molto l’Italia).
Rendere nota, per bocca del Ministro della Difesa, generale Prawit Wongsuwon, l’esistenza di questa lista nera, è un’ammissione indiretta che il potere è in sofferenza e cerca di rubare altro tempo al progresso sociale della nazione.
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