Un articolo di Tim Johnston, program director per l’Asia dell’International Crisis Group, in cui viene esaminato il sempre più complesso momento politico di una Thailandia che, governata da élite reazionarie e congelata dalla legge marziale imposta dai militari, deve affrontare la problematica successione dell’ottuagenario Bhumibol Adulyadej (Rama IX).
L’élite thailandese deve colmare il divario politico mentre è ancora possibile
Mentre, dopo le notizie del peggioramento della sua salute, le ombre del crepuscolo si allungano sul settantennale regno di Re Bhumibol Adulyadej, le congenite contraddizioni tra la moderna classe media di questo paese governato da un élite tradizionale, si fanno sempre più difficili da conciliare.
Re Bhumibol, che ha 88 anni, ha vissuto gli ultimi sette anni in un ospedale di Bangkok e, a metà febbraio, venne comunicato che era stato colpito da un virus non identificato. I media erano pieni di report giornalieri sulle sue condizioni ed il palazzo prese la decisione, senza precedenti, di invitare il pubblico nella sala delle cerimonie per firmare un libro a sostegno della sua salute. Una settimana più tardi le dichiarazioni del palazzo affermavano che il monarca si stava riprendendo. Ma è evidente che la sua salute resta precaria.
Nonostante le giravolte politiche degli ultimi 80 anni con 19 golpe, lunghi periodi di corte marziale, 19 costituzioni, la Thailandia è stata l’unico esempio di stabilità in una regione turbolenta. Le dispute erano occasionalmente sanguinose ma tendevano a localizzarsi a Bangkok; sebbene le onde d’urto si diffondessero per il paese, il disordine aveva poco effetto reale sulla gente o sugli investitori fuori dell’epicentro.
Questa deroga si è infranta negli ultimi dieci anni. Il ciclo ricorrente di dimostrazioni e golpe, effettivi o giudiziari, contro governi eletti dal popolo ha creato le condizioni per una specie di lotta di classe che potrebbe sempre più affossare il paese e la sua economia in un pantano.
Per anni il re è stato il ponte che univa le divisioni che si creavano. Non è intervenuto di persona nelle ultime dispute al di là di dare l’approvazione formale a vari governi che si presentavano, o attraverso elezioni oppure con un golpe, ma non ha impedito ai vari attori, per lo più militari. di invocare il suo nome per giustificare la politica che attuavano.
Gran parte del potere del re deriva dall’amore genuino e dal rispetto che si è guadagnato, da tutti i thailandesi. Nell’attuale contesto thailandese il re e la monarchia non sono intercambiabili: l’uomo è molto più potente dell’istituzione, e tale potere non lo si eredita. Senza di lui ci sarà un vuoto al cuore di un sistema politico e sociale profondamente instabile.
L’esercito ha preso il potere a maggio 2014, apparentemente per restaurare la legge e l’ordine dopo mesi di proteste. Ma, come sostenitori autonominati della monarchia, hanno un interesse maggiore nell’assicurarsi che la successione sia di loro gradimento, se necessario anche attraverso l’uso della forza. I generali evidentemente credono che, quando si tratta di potere, il suo possesso vale nove decimi della disputa. Restando al potere sperano di poter dettare il ritmo e la direzione del cambiamento, ma potrebbero restare delusi.
L’opposizione, intimidita ma non sconfitta dai draconiani poteri d’emergenza che i generali si sono concessi, sanno che non possono sconfiggere palazzo, esercito e burocrazia mentre, questa triade, può invocare il potere e l’autorità morale di Re Bhumibol. Senza la sua figura mistica, la difesa forzata dello status quo da parte dell’élite al potere, che ha ripetutamente privato dei diritti larghi strati della popolazione, rischia di apparire come puro interesse di parte.
La classe media in ascesa
Il regno di re Bhumibol ha visto la Thailandia diventare una nazione a medio reddito, con tutte le aspirazioni della classe media implicite in questo progresso. I tentativi del governo, per costringere il paese in una versione sclerotica di parco a tema della tradizione tailandese sembra donchisciottesco e sconcerta, coloro che non si arrabbiano.
La morte del re sarà seguita da un sostanzioso periodo di lutto che lascerà però accumularsi, sotto la superficie, le tensioni politiche. Il modo di gestire, da parte dei generali e della burocrazia, le inevitabili sfide al loro potere determinerà se il contratto sociale thailandese del dopo Bhumibol sarà fissato con un scontro o un negoziato.
Uno dei problemi che si trovano di fronte i baluardi conservatori dell’autorità tradizionale è che, se lo spirito di una nazione è incarnata in una persona particolare, la sua morte inevitabilmente crea una crisi di identità. Per l’esercito thailandese, che è tra le varie istituzioni ad aver feticizzato il concetto di “Thainess,”, tale crisi identitaria potrebbe apparire come una crisi esistenziale e stimolare una reazione spropositata alle critiche, col rischio di strappare il tessuto della società thailandese con danni che richiederebbero anni per essere riparati.
Anche se l’opposizione politica interna resta silenziosa, altri elettori esprimono la loro amarezza. Il mondo degli affari è deluso dai miseri risulta economici del governo; il partito democratico, nome non intenzionalmente ironico, ha contestato le catene imposte alla democrazia nel primo tentativo dei generali di modificare la costituzione. L’uso continuo della legge di lesa maestà, che impone sentenze pesanti per l’insulto al re o ai membri della famiglia reale, appare come una insicurezza di fronte alla sfida. Un’amministrazione che persegue un uomo per aver postato commenti sprezzanti non specificati sul cane del re in Facebook invita al ridicolo più che al rispetto.
Comunque, sebbene la grande massa mantenga un basso profilo, l’opposizione comincia a farsi sentire. Thaksin Shinawatra, miliardario delle telecomunicazioni e deposto primo ministro, che vive in esilio per evitare di scontare una condanna per corruzione, è riemerso da mesi di silenzio autoimposto per confrontare il governo thailandese per la Corea del Nord; in una recente intervista con il Financial Times ha definito “pazzesca” l’ultima bozza costituzionale.
La famiglia Shinawatra sta trovando modi creativi per disturbare i generali. L’ex premier Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin, che fu costretta a lasciare il governo come il fratello, ha di recentemente fatto notizia con un open day per i media nel suo giardino. D’altra parte una recente disputa se un abate, che è associato ad un ordine considerato vicino a Thaksin, debba diventare il capo della Sangha, il consiglio di governo del buddismo thailandese, ha acceso un inconsueto confronto tra monaci e soldati che ha portato alla pubblicazione di immagini in cui un monaco infuriato teneva stretto un soldato. Questa è un’immagine particolarmente preoccupante per coloro che accettano il motto, non ufficiale, della Thailandia “Nazione, Religione e Monarchia”.
La scomparsa di Re Bhumibol sarà profondamente sconvolgente per milioni di comuni thailandesi il cui cuore il re ha conquistato con decenni di duro lavoro e devozione. Ma hanno già superato il paternalismo politico ed economico che ha diretto le prime fasi di sviluppo economico della Thailandia. Quello che ha generato una straordinaria crescita dell’industrializzazione di cui la Thailandia ha raccolto i frutti, ma ora l’economia stagna.
La Thailandia, per continuare a crescere socialmente ed economicamente, ha bisogno che l’élite abbandoni la sua morsa sul potere ed affidi, anche ai comuni thailandesi, un ruolo paritario nel determinare il futuro come impresa comune.
Fonte: Nikkei Asian Review
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