È calato il vento e ora scendono leggeri i fiocchi di neve. È la prima neve dell’anno, spruzza i tetti di bianco. Per tutta la mattina resto dietro la mia finestra a guardarla cadere. Quando attraverso il cortile della caserma è già alta diversi centimetri, e quando la calpesto scrocchia con una strana leggerezza.
In mezzo alla piazza alcuni bambini giocano, costruiscono un pupazzo di neve. Cercando di non spaventarli, ma inspiegabilmente allegro, mi avvicino.
Non si spaventano, sono troppo indaffarati per degnarmi di uno sguardo. Hanno finito il grande corpo tondo e stanno preparando la palla per la testa.
– Andate a prendere qualcosa per il naso, la bocca e gli occhi, — dice il capo del gruppetto.
Penso che il pupazzo di neve avrà bisogno anche di braccia, ma non voglio intromettermi.
Sistemano la testa sulle spalle e ci infilano i sassetti per gli occhi, le orecchie, il naso e la bocca. Uno dei ragazzini la incorona col suo berretto.
Non è male come pupazzo di neve.
Non è questa la scena che sognavo. Come tante altre cose ormai, me la lascio alle spalle sentendomi stupido, come uno che ha perso la strada tanto tempo fa, ma continua per una via che forse non lo porterà da nessuna parte.
(Aspettando i barbari, J.M. Coetzee, Ed.Einaudi)
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