In un post precedente ho già pubblicato l’immagine qui a fianco quale esempio di come l’interferenza, di chi detiene il potere, possa incidere sulla cultura, sul sapere dei cittadini e quindi sul loro interessarsi o meno ad eventi che, comunque, influiscono sulla loro vita, volenti o nolenti.
Anche se tu non ti interessi di politica, la politica si interessa di te. Quindi la “qualità” di chi governa diviene preponderante rispetto a qualsiasi altra “componente sociale”.
Quali e quante siano le forze, che una qualsiasi dittatura, ma anche democrazia, può mettere in campo per creare sudditi servi e non cittadini consapevoli è una questione complessa.
Di certo non tutto dipende solo dai governanti o tutto solo dai cittadini. L’ignoranza può essere una “scelta” ma anche una “non scelta”, un “dovere” imposto dall’ambiente in cui casualmente si nasce e si vive.
Ho anche scritto che la parte finale della definizione, che il Vocabolario Zanichelli IV edizione del 1924, dà del termine Fasci di combattimento: «… il 4 XI 1922 con la marcia su Roma, duce Benito Mussolini, trasforma la Costituzione dello Stato, sottraendolo alle fortune elettorali». Mi fa venire alla mente la riscrittura della Costituzione thailandese e la riforma, in corso di approvazione definitiva, della nostra Costituzione.
A mio avviso in entrambi i casi le modifiche costituzionali, con tutte le differenze del caso, passano sopra la testa dei cittadini che, più o meno attenti o disinteressati, non vengono interamente rappresentati nella riscrittura della “norma alla base di tutta la vita di una nazione”.
In Thailandia, a differenza dell’Italia, nessuno ha mai conosciuto in patria un contesto sociale libero, democratico e culturalmente aperto. La fine della monarchia assoluta, nel 1932, ha visto solo un parziale abbandono del feudalesimo e una limitata apertura alla democrazia. E così, nel tempo, si sono susseguite brevi primavere democratiche e lunghi inverni dittatoriali – come quello che stiamo vivendo oggi -, il tutto ritmato da marce militari, proteste, repressioni poliziesche, massacri. E tutto questo condito da leggi draconiane (come l’arcinota legge sulla lesa maestà o Articolo 112 del codice penale), un ferreo controllo dei media e l’imposizione, tramite la pubblica istruzione, di una ideologia di stato nota come definito kwam pen thai o thailandesità.
Nel processo di scrittura della nuova Costituzione thailandese – forse “troppo nuova” dato che il primo tentativo di riscrittura è miseramente fallito – c’è tutta l’arroganza di un vecchio sistema di potere (difeso armi alla mano) impegnato a mantenere uno stato di repressione che impedisce alle opposizioni di manifestare pubblicamente il loro dissenso e offre alla giunta militare tutto il tempo che ritiene necessario prima di restituire il governo a dei civili. Scrive Pravit Rojanaphruk:
«Prepariamoci, per l’ennesima volta, al festival della stesura della Costituzione sponsorizzato da una giunta militare. I 21 membri (per lo più maschi senza alcun obbligo di rendere conto delle proprie decisioni e di esserne responsabili nei confronti dei cittadini), nominati da Prayuth Chan-o-choa (un altro che non deve render conto ai cittadini), venerdì [29 gennaio] ci faranno conoscere la prossima Costituzione.» (Pravit Rojanaphruk, Dieci cose che non vorresti sapere sulla prossima Costituzione)
Il nuovo iter, per un’altra nuova Costituzione, pare ora giunto a conclusione, ma ancora una volta tramite un processo costituente elitario che non è espressione di tutte le componenti politiche, sociali ed umane della nazione.
Ma se guardo la Thailandia, ed i thailandesi, restringendo il campo visivo a quel poco che mi circonda, mi torna alla mente la risposta, ricevuta dall’orientalista Benedict Anderson, di quel tassista thailandese di etnia cinese, a cui aveva chiesto cosa pensasse dei thailandesi di etnia tai (l’etnia maggioritaria in Thailandia): «Sono accomodanti e spensierati. Pensano solo a mangiare e fare sesso».
Ma Anderson, profondo conoscitore del sudest asiatico, ovviamente, non si ferma dinnanzi ad una battuta, tanto spietata quanto semplice fotogramma che nulla dice dei motivi di questi atteggiamenti di accomodamento e spensieratezza. L’attenzione di Anderson si concentra sul fatto che, a suo modo di vedere, «i migliori studiosi thailandesi non pongono ancora sufficiente attenzione al linguaggio dell’oligarchia thailandese».
Ed aggiunge:
«Oggi in Indonesia troviamo spesso degli oligarchi che si lamentano dicendo: rakyat masih bodoh, che vuol dire che le masse sono ancora stupide e ingenue. La frase fu coniata appena dopo l’indipendenza avvenuta circa sessanta anni fa, quando la gente pensava che questa stupidità fosse stata creata dal colonialismo e sarebbe presto scomparsa. Oggi gli oligarchi, senza alcuna vergogna, usano lo stesso linguaggio col chiaro significato che le masse saranno sempre stupide ed è per questa che sarà sempre necessaria un’oligarchia benevola e dall’aspetto paterno».
Masse stupide ed ingenue che in Thailandia non possono certo essere un’eredità del colonialismo — ci si vanta di non essere mai stati colonizzati — ma sono semmai il prodotto delle politiche oligarchiche volte al mantenimento di una “casta inferiore”.
Momento non facile per i veri democratici thailandesi, in tanti costretti al silenzio se non obbligati all’esilio. Nel medio-lungo periodo, la crescita democratica thailandese continua, anche se molto lentamente, ma procede e non potrebbe essere diversamente.
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