Il collettivismo degli zombi, di Jon Coumes
Dedicato ad Alessio ed a tutti coloro che amano le storie di zombi
Nel corso della loro lunga storia d’amore con la cultura popolare, gli zombi si sono visti attribuire diversi significati e interpretazioni, ma sotto sotto sono sempre rimasti gli stessi.
I cadaveri ambulanti della Notte dei morti viventi sono il prodotto della paura del comunismo o delle rivolte urbane.
Nel film Zombi l’attrazione che i risorti provano per un centro commerciale può essere letta come una critica al consumismo americano.
A ispirare Il giorno degli zombi e 28 settimane dopo c’è sicuramente l’autoritarismo militarista.
Nella Terra dei morti viventi c’è la disuguaglianza economica, in 28 giorni dopo la malattia.
I libri e le trame cinematografiche sugli zombi offrono spunti per analisi sociali o perfino filosofiche, ma in sostanza il principio di base è sempre lo stesso: un elogio del collettivismo.
Il collettivismo è l’esatto opposto del mito statunitense dell’individualismo sfrenato, del “vai e fallo da solo”. Considera la comunità come un tutt’uno ed è su questa entità che concentra i suoi sforzi piuttosto che sui singoli membri.
È il terreno su cui sono cresciuti il marxismo, il comunismo e la socialdemocrazia europea, è alla base degli insegnamenti di Gesù e degli apostoli e anche di molte comunità monastiche. È un valore fondamentale di società più tradizionali, dove la vita gira intorno alla famiglia e alla comunità e dove la sopravvivenza e il benessere del gruppo sono imprescindibili e al di sopra degli interessi delle singole parti che lo costituiscono.
Nella cultura popolare gli scrittori e i registi hanno sempre tracciato, forse inconsapevolmente, una linea di demarcazione netta tra il comportamento individuale e quello di gruppo.
Il personaggio che mente agli altri e nasconde il morso di uno zombi non sta coraggiosamente resistendo in attesa di una cura, ma mette in pericolo il resto del gruppo.Nella commedia L’alba dei morti dementi il personaggio che agisce in modo egoista (David che spacca la finestra del pub) manda tutto all’aria, mentre quello che si sacrifica per gli altri (Shaun nella sua corsa suicida) viene esaltato da una musica eroica e da un commovente primo piano.
Il romanzo World war Z, la guerra mondiale degli zombi di Max Brooks, affronta questo concetto in modo esplicito. [qui il pdf gratuito]
Senza un vero protagonista, il libro si presenta come un rapporto della commissione postbellica delle Nazioni Unite (cosa che lascia subito intendere chi ha vinto la guerra).
Nella prima metà del romanzo tutti, dalle spie israeliane ai generali statunitensi, criticano l’incapacità mostrata dagli uomini di unirsi e collaborare per fermare la crisi.
Nella seconda metà si parla della soluzione: una vita comunitaria, con gruppi di uomini armati e affiatati.
Non eroi singoli, ma componenti anonimi di uno sforzo collettivo.
In World War Z scopriamo inoltre che, durante o dopo la guerra, gli Stati Uniti hanno deciso di garantire l’assistenza sanitaria universale e che le Nazioni Unite sono diventate un arbitro delle dispute internazionali. Gli zombi, in poche parole, hanno stimolato il collettivismo e hanno creato un mondo migliore.
Prendiamo un esempio più esaustivo.
Nel film Zombi, girato nel 1978 da George Romero, un gruppo di sopravvissuti lascia una città in elicottero e si barrica in un centro commerciale. Fin dall’inizio il regista non sembra solidarizzare con questi personaggi che hanno abbandonato un lavoro utile per la comunità. Mentre salgono a bordo dell’elicottero un gruppo di poliziotti, anche loro in fuga, gli chiede se hanno sigarette. I quattro rispondono di no, ma appena l’elicottero si solleva da terra tutti ne accendono una. Mentre volano sopra alcuni contadini che si sono uniti all’esercito per ripulire la campagna, i quattro fanno delle battute sui “bifolchi”. A questo punto, nel film, c’è una breve digressione che ci mostra come quelle persone abbiano in realtà formato una comunità ben affiatata: bevono birra e caffè e lavorano intensamente, tutto l’opposto di quello che faranno i nostri protagonisti al centro commerciale. Il momento di denuncia coincide con l’attacco dei motociclisti, che all’inizio non sembrano cattivi, come dimostra il fatto che entrando nel centro commerciale il loro leader dice: “Non pensate a voi stessi, pensate a tutti noi”. Ed è esattamente quello che fanno, cercando di non ferire nessuno dei tre protagonisti rimasti nel centro commerciale. Ma uno dei tre, Steven, gli spara contro in preda all’isteria urlando: “È nostro, l’abbiamo preso noi! È nostro!”. Solo allora i motociclisti li attaccano.
Uccidere altri esseri umani durante un’invasione di zombie è chiaramente il crimine peggiore che si possa commettere. Ma nel film i rappresentanti della collettività, i bifolchi e i motociclisti, sembrano cavarsela egregiamente. Il messaggio non è del tutto esplicito, ma non è certamente ambiguo.
L’unione fa la forza
Il concetto di comunità è fondamentale anche nei videogiochi dedicati agli zombi. In Left 4 dead il giocatore controlla uno dei quattro sopravvissuti a un’invasione di zombi.
Anche qui la collaborazione è cruciale. Se uno dei sopravvissuti si separa dal gruppo, anche di pochi metri, rischia di essere travolto da una massa di non morti. E ridotto a tre componenti, anche il gruppo rischia di non farcela. Altri giochi, come State of decay, si concentrano sulla reale sfida di un’eventuale apocalisse zombi, in cui il problema non è tanto abbattere una massa sterminata di morti viventi quanto costruire qualcosa sulle rovine dell’umanità. State of decay insiste molto sul mantenimento della comunità, affidando al giocatore la responsabilità di un gruppo di sopravvissuti e incaricandolo della gestione dei viveri, delle medicine e dell’umore generale. Anche qui il singolo deve fare diversi sacrifici per il bene della comunità. Meno sparatorie ci sono e meglio è per tutti.
In DayZ, creato come modalità speciale all’interno del gioco di guerra Arma2, il giocatore si ritrova disarmato nella repubblica fittizia di Chernarus, modellata su una porzione di 225 chilometri quadrati della Repubblica ceca. Il giocatore deve trovare viveri e vestiti mentre si sposta tra campagne e centri abitati disseminati di umani e zombi.
La sopravvivenza individuale è possibile, ma alla lunga il lavoro di gruppo si rivela indispensabile. I morti viventi, come le epidemie o la distruzione nucleare, tornano alla ribalta nei momenti in cui percepiamo una reale minaccia, (la guerra fredda, la crisi del petrolio degli anni settanta o, ai giorni nostri, il cambiamento climatico).
Ma gli zombi, oltre a essere un indicatore della nostra paura collettiva, ci suggeriscono implicitamente come trovare la salvezza. La loro popolarità implica un’accettazione inconscia della loro premessa collettivista. Negli Stati Uniti il concetto di sacrificio di sé per il bene di tutti è sminuito dalla paura dell’estremismo e del comunismo. Ma un gioco come DayZ dimostra che il risultato finale di questa negazione del sé è l’esatto opposto: si può sopravvivere all’apocalisse, e divertendosi.
(The unified theory of all zombie fiction, Jon Coumes, Kill Screen, Stati Uniti – traduzione italiana da Internazionale n.1130)
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