Il Salento delle ultime settimane è molto diverso dalla terra che nei mesi di luglio e agosto accoglie più di un milione di turisti da tutta Italia e non solo.
In questi giorni si lotta duramente per le strade di Puglia contro una situazione che col passare del tempo assomiglia sempre più ad una truffa ai danni della popolazione e del suo territorio.
Nei fatti, che si sa valgono più di mille parole, si sta distruggendo la più grande foresta di ulivi secolari al mondo a causa della Xylella Fastidiosa, un batterio che, secondo i più, faciliterebbe il lavoro a chi dovrà realizzare il raccordo col gasdotto Tap.
Le eradicazioni di ulivi permetterebbero infatti un enorme risparmio di tempo e denaro, per non parlare delle responsabilità derivanti dall’obbligo di espianto e reimpianto di ulivi, alle società che si stanno occupando di costruire il Gasdotto della discordia che passerà, almeno sulla carta, a Melendugno una delle più belle spiagge di Puglia.
Nonostante le numerose proteste che, nelle ultime settimane, hanno interessato le due province di Lecce e Brindisi e le indagini della magistratura leccese coordinate dal procuratore Cataldo Motta che hanno evidenziato l’assenza di prove scientifiche riguardo gli interventi di abbattimento, le eradicazioni di ulivi proseguono a ritmo serrato nel Salento, ad esecuzione dell’ormai tristemente noto Piano Silletti che prevede, tra l’altro, l’eliminazione di piante (anche sane) entro un raggio di 100 metri da quella presunta infetta. Più di 3.000 sarebbero, ad oggi, le piante da abbattere, 950 quelle già espiantate. Numeri provvisori, dal momento che i decreti di abbattimento vengono notificati a cadenza quotidiana. Tutto nel tentativo di contrastare l’avanzata, ormai incontenibile, del fastidioso batterio.
Il Presidente Emiliano l’aveva annunciato, nei giorni precedenti la protesta pacifica, durante l’incontro tenutosi a Bari ai sindaci e amministratori di alcuni comuni interessati nonché al Presidente del Consiglio dell’Unione dei Comuni del Nord Salento: oggi non esiste cura per gli ulivi malati, le sperimentazioni da parte degli esperti del settore non vanno nella direzione di guarire le piante, ma sono volte al miglioramento della capacità di resistenza al batterio. Insomma, unica soluzione eradicare.
Un modo come un altro per dire, come se ce ne fosse bisogno, che le direttive europee non si discutono. Pazienza se in piena campagna elettorale per le regionali Emiliano pronunciava parole di guerra contro le eradicazioni (siamo abituati alle ‘promesse’ dei politici), o se numerosi esperti, primo tra tutti l’ormai noto Cristos Xiloyannis, docente dell’Università della Basilicata, si sono espressi in favore di un approccio sostenibile e volto al recupero degli oliveti nel loro insieme, migliorandone il «sistema immunitario» attraverso l’adozione di pratiche agronomiche sostenibili che aumentino le capacità delle piante a contrastare gli stress biotici e abiotici”. Così facendo, sempre secondo gli esperti, “è possibile convivere con il batterio”, non solo in chiave preventiva ma anche curativa.
Ma il punto sembra essere un altro, l’indifferenza europea nei confronti delle istanze di un territorio. Come può l’UE imporre misure drastiche come l’eradicazione di un imponente numero di ulivi, per lo più non contagiati, senza il supporto di evidenze scientifiche e senza tenere in conto l’enorme danno economico arrecato al territorio? Come si può obbligare ad eradicare se il batterio risulta “insediato” e se ne è stata ormai riscontrata la presenza in molte altre zone d’Europa? Ma soprattutto con che diritto si arriva a vietare ad una comunità di piantare nuovi ulivi che sostituiscano quelli eradicati?
Per rispondere a queste semplici domande dobbiamo fare un salto indietro nel tempo e tornare al 1992, quando il Presidente di Sezione del Consiglio di Stato Salvatore Giacchetti, intervenendo al convegno Potere Discrezionale e Interesse Legittimo nella Realtà Italiana e nella Prospettiva Europea parlò per la prima volta di termiti comunitarie. Rileggendo la sua relazione ci rendiamo conto di quanto fossero profetiche quelle parole alla luce di quello che succede oggi in Puglia e in tutto il territorio nazionale ogni qualvolta si ha a che fare con le imposizioni della UE:
«Non so se tutti abbiate familiarità con le térmiti. Per quei pochi che eventualmente non l’avessero ricordo che le térmiti sono insetti ciechi, […] quando hanno localizzato una consistente fonte di cellulosa – per esempio, una casa di legno – con un cemento durissimo di loro produzione costruiscono dal loro nido una galleria, poco più grande di una matita ed entro la quale possano andare su e giù indisturbate, sino alla base della struttura della casa; la forano e penetrano all’interno del primo asse di legno. E di là, diffondendosi di asse in asse si diffondono in tutta la struttura e la svuotano letteralmente. I loro ingegneri sono abili e prudenti: sono capaci di svuotare dall’interno tutta la casa senza che nessuno se ne accorga e senza che crolli; gli entomologi hanno addirittura notato che quando qualche struttura è stata divorata troppo a fondo le térmiti provvedono a rinforzarla, per evitare crolli che rivelino la loro presenza. Dopo aver divorato tutto il divorabile le térmiti rientrano nel nido. La porta d’accesso alla galleria viene murata. L’operazione è conclusa. A quel punto la casa in legno resta in piedi, apparentemente intatta. Il padrone, tornandoci a distanza di tempo, la vede e dice tra sé soddisfatto: tutto è a posto. Ma basta che sbatta la porta con forza o che dia un colpo sul muro perché tutta la costruzione venga giù come un castello di carte.
Qualcosa del genere sta accadendo all’ordinamento nazionale ad opera dell’ordinamento comunitario. I Trattati […] hanno costituito delle gallerie in durissimo cemento attraverso le quali le norme comunitarie, come un esercito di térmiti, sono penetrate nell’ordinamento nazionale e lo stanno progressivamente svuotando. […]
Il risultato di questa irresistibile marcia del diritto comunitario è che oggi abbiamo un diritto nazionale […] che assomiglia sempre più ad una casa infestata dalle térmiti; che tende sempre più ad essere oggetto di insegnamento storico rivolto al passato piuttosto che di studio operativo rivolto al presente e all’avvenire; che sembra sottovalutare il fatto che l’ordinamento comunitario non solo si annette continuamente nuove province ma ormai, con lo strumento del monopolio dell’interpretazione del diritto comunitario, rivendica sempre più chiaramente a sé quella che è la massima prerogativa di un ordinamento sovrano: e cioè la competenza delle competenze, la competenza a fissare i limiti entro cui può liberamente muoversi l’ordinamento nazionale. Per quest’ultimo insomma, ormai in condizione di sovranità limitata, si ha una situazione di libero Stato in libera Unione Europea, in un sistema di tipo prefederale.
[…] La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato (v. in particolare le sentenze nn. 183/73, 170/84 e 232/89) che esisterebbero delle colonne d’Ercole […] dei limiti che l’ordinamento comunitario non potrebbe comunque valicare. Ma, purtroppo, non sempre il dover essere coincide con l’essere; e nel mondo dell’essere, della realtà effettuale, temo che questi limiti siano stati abbondantemente superati: e superati per quanto riguarda profili particolarmente qualificanti, quali il sistema delle fonti, la sovranità popolare, il controllo di costituzionalità, il rapporto tra Stato e regioni.[…] Per quanto riguarda la sovranità popolare va ricordato che il Parlamento europeo, anche dopo l’Atto unico europeo, anche dopo Maastricht (se ci sarà davvero un Maastricht), non ha poteri legislativi. Di conseguenza le norme comunitarie sono espressione non della volontà popolare ma – com’è ben noto agli addetti ai lavori – di accordi più o meno meditati e più o meno sotterranei dei funzionari che rappresentano i vari stati, e tra i quali a quanto sembra i rappresentanti dell’Italia non è che poi riescano a strappare la parte del leone.[…]
Il diritto comunitario – sul modello del diritto anglosassone, che rifugge anche da modesti gradi di astrazione – ha un carattere verboso, discorsivo e fortemente pragmatico che presenta notevoli difficoltà di approccio per il giurista nazionale, ed opera mediante la valutazione concreta, a posteriori, di un certo effetto. Coerentemente con questa sua impostazione: utilizza locuzioni quali – ad esempio – «esecuzione con qualsiasi mezzo» (direttiva sugli appalti n. 89/440) o enti aggiudicatori che vanno «definiti in modo diverso dal semplice riferimento alla loro qualificazione giuridica» (direttiva sui settori esclusi n. 90/531).»
Il diritto comunitario, dunque, determina una condizione di sovranità popolare e nazionale limitata attraverso un meccanismo di continuo ed irreversibile svuotamento del diritto nazionale, “concepito per lasciare le mani libere alle grandi imprese multinazionali e che mira a sostituire ai controlli preventivi, propri della nostra cultura giuridica, le più pragmatiche valutazioni concrete a posteriori degli effetti di stampo anglosassone. Di conseguenza, gli ordinamenti nazionali (e le istituzioni locali), quelli sui quali i cittadini avrebbero, attraverso i parlamenti nazionali, ancora un minimo di controllo vengono svuotati di contenuto”. (Bagnai, 2012)
L’Europa che l’UE ha disegnato negli ultimi decenni assomiglia sempre più ad un sistema in cui le tangenti e gli scambi di favore sono il pane quotidiano di cui si ciba la politica, sul quale l’ordinamento europeo non ha fatto altro che metterci il cappello giuridico. Per dirla con le parole di Di Pietro quello che si è voluto creare è “un gigantesco spazio di trattativa fra privati e politica, nel quale la corruzione diventa un fatto conforme alle regole, anche perché nessuno capisce più bene quali esse siano, stanti le successive stratificazione delle normative europee.”
L’attuale classe dirigente, come ormai succede sempre più spesso, non è all’altezza di rappresentare degnamente le istanze del territorio che la elegge, per questo il territorio non ha altra strada se non la disobbedienza civile. Disobbedienza che, come ha ricordato Erri De Luca alla vigilia dell’assoluzione nel processo che lo ha visto accusato di istigazione a delinquere per aver sostenuto che “la Tav va sabotata”, è più che mai necessaria.
Appello alla disobbedienza raccolto, nei giorni scorsi, dalla giornalista e scrittrice leccese Marilù Mastrogiovanni che, nel blog xylellareport.it, coraggiosamente afferma:
“… è necessario che i cittadini onesti, senza scendere a patti con nessuno, si riapproprino pacificamente del loro diritto alla vita. Difendere gli ulivi è questo: né più, né meno. Perciò non abbiate paura. Nessuno potrà multare quei cittadini perché stanno difendendo se stessi, il proprio unico mezzo di sostentamento, l’unica fonte di ossigeno, l’unico polmone verde della Puglia, la più grande foresta d’ulivi secolari e millenari del mondo. Quegli ulivi, ce li hanno dati i nostri padri e le nostre madri, e ancora prima loro li hanno ricevuti dalle loro famiglie. Noi li dovremo dare ai nostri figli. Non ci possono essere compromessi su questo: solo la rivolta pacifica potrà far revocare il Piano Silletti. Eppure oggi, nel corso dell’occupazione spontanea della Lecce-Brindisi, alcune persone s’erano accordate con la Digos per sgomberare la strada entro le 12, andando poi a minacciare con fare mafioso gli umili contadini e contadine (si, molte erano donne) che volevano invece rimanere a protestare, dicendo loro di sgomberare il campo perché “questi erano gli accordi. Dunque quell’occupazione della statale è stato solo un diversivo concordato: i contadini sono stati tenuti lontano dai luoghi dove le ruspe hanno continuato indisturbate a sradicare. Questa è la nostra condanna: la mafiosità, la minaccia, il ricatto, ce l’abbiamo nel dna.”
Ma fino a quando la popolazione non sarà unita nel far sentire la propria voce, abbandonando una volta per tutte le bandiere a sostegno di questa classe politica, difficilmente le realtà locali potranno davvero rinascere nel segno della sostenibilità. L’UE, in questo caso, sembra essere il primo ostacolo ad un cambio di paradigma imposto dall’evoluzione globale, limitando la capacità di autodeterminazione di un territorio, imponendo allo stesso tempo l’abbattimento di quello che per la popolazione locale rappresenta molto più che un semplice arbusto.
A proposito di “trattativa tra privati e politica”, qual è la prima parola che vi viene in mente?
Fonte immagini: Torre dell’orso, Brindisi report, L’impronta, Fondazione Terra d’Otranto
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