Terza ed ultima parte dell’articolo intitolato: Interrupted normalcy of everyday lives in Thailand’s restive Deep South di Thaweeporn Kummetha, pubblicato da Prachatai il 31/08/2015.
Il distretto di Weang in provincia di Narathiwat è ben lungi dall’essere una località moderna e sviluppata.
Il 7 Eleven locale è stato aperto non molto tempo fa, non ci sono distributori di benzina e alberghi. A differenza di Saiburi, Waeng è uno dei distretti con un indice molto basso di violenze, in questo simile ad altri distretti di confine. Tuttavia gli abitanti qui sono comunque sotto la pressione dalla violenza circostante.
Nirandorn Lokna, detto Yee, e Sulaiman Chemae, detto Lee, sono due giovani che amano la loro area distrettuale e cercano di proporre le bellezze naturali e culturali di Waeng.
I malesi della regione sono così abituati a violenza ed oppressione che viverci assieme è purtroppo diventato parte della loro vita quotidiana.
«La mia terra ha visto tante violenze nel corso degli anni. Questi fatti si accumulano, si accumulano nei sentimenti della gente di qui, rendendo molti mentalmente e fisicamente infermi. Penso che questo incida molto sul malessere. Fin da quando ero ragazzino, andavo dalle parti dell’ufficio distrettuale, dove avrebbero esposto i corpi delle persone fucilate. Ad un certo punto, ogni giorno c’erano corpi.. Questo spettacolo divenne così comune che alla fine mi ci sono abituato», ci dice Nirandorn che è stato sceneggiatore e regista di film e lakorns (telenovele thailandesi), quindi non uno sprovveduto.
Sia Nirandorn che Sulaiman, quindi, si sono dedicati a promuovere le bellezze naturali e culturali di Waeng, e dei suoi distretti vicini, come un balsamo terapeutico per la violenza della vita quotidiana nel profondo sud.
Nirandorn, noto per essere stato l’assistente regista di Chatrichalerm Yukol – regista di film epici su Re Naresuan -, ha prodotto un cortometraggio di 12 minuti intitolato “Waeng in Love“, ispirato al libro omonimo scritto da Chabaabaan. Il romanzo racconta la vita di una ragazza thailandese buddhista a Waeng, 60 anni fa.
Il cortometraggio, ambientato al giorno d’oggi, racconta la storia di una ragazza buddista thailandese e le sue relazioni con i musulmani, offrendo una panoramica delle relazioni interreligiose nel profondo sud prima che la violenza scoppiasse, 11 anni fa. Ma Nirandorn non fa solo cortometraggi, insegna ai giovani locali come realizzare cortometraggi e nelle sue lezioni spiega tutte le fasi di una produzione cinematografica: sceneggiatura, riprese, montaggio. Intende dare, alle opinioni dei giovani, uno sbocco creativo.
Niradorn e Sulaiman hanno anche prodotto un video pubblicitario per promuovere il turismo nel profondo sud, finanziato dall’ Autorità del Turismo della Thailandia (TAT). A differenza degli annunci promozionali turistici di altre province, che si concentrano su punti di riferimento iconico, Sulaiman ha scelto di presentare “Pattani” come area senza frontiere attraversata da una cultura comune, invitando gli spettatori a scoprire da soli i posti dove andare.
Sulaiman ha constatato che il loro tentativo di raccontare le storie della loro terra, ha subito discriminazioni e pregiudizi.
«Nel nostro viaggio, su una vecchia e malandata auto, eravamo con altri due o tre persone. La nostra attrezzatura da ripresa, i vestiti e il bagaglio riempivano la vettura. I militari con le pistole nella fondina, corpetti antiproiettile, caschi in testa e un grosso problema con noi, nel cervello, ci hanno fermato decine di volte ai posti di blocco. Un paio di volte hanno cercato all’interno dell’intera vettura (ma in modo casuale). Ci hanno rivolto domande che potevano sembrare ridicole o sarcastiche solo perché sembriamo quel che siamo (noi siamo gente del posto, le nostre radici sono qui. Chi sono i veri estranei qui, loro o noi?). Abbiamo dovuto rispettarli e rispondere alle loro domande, mostrando loro un pezzo di carta in cui si diceva che stavamo facendo un film per la TAT. La TAT, dannazione! Abbiamo dovuto confermare che non stavamo facendo riprese spionistiche segrete. Siamo stati anche limitati nelle riprese in alcune attrazioni turistiche (sigh). Una cosa ben diversa rispetto a quando abbiamo girato nei templi, nei santuari cinesi e nelle abitazioni cinesi. Dovevo solo salutare, sawadee, e poi gentilmente chiedere permesso e mi lasciavano entrare senza alcun problema. Era così rilassato che ho potuto fumare durante il lavoro. In breve, non c’era alcun problema quando conversavo con la gente del posto, ma gli “estranei” sembravano essere il vero problema … siamo locali ci prendiamo cura dei nostri problemi, cerchiamo di raccontare le nostre storie dal nostro punto di vista e sentimenti, per favore. Abbiamo un sacco di storie interessanti da raccontare, con questa clip, che abbiamo prodotto, stiamo facendo il nostro lavoro».
Sulaiman sostiene anche iniziative per promuovere la musica locale e lo sport, che sono in pericolo di estinzione. Ad esempio, Tari-e-na e Penjak Silat suonano il Bano e il Grue-toh [due diversi tamburi tradizionali, ndt]. Suonare assieme Bano e Grue-Toh viene praticato solo a Waeng e a Su-ngai Padi.
«La cultura Melayu sta scomparendo perché lo stato thailandese o non capisce o non si preoccupa di conservarla. Questo mi ha reso consapevole che dobbiamo difenderci e parlare delle nostre diverse culture Lo Stato spende denaro per la sicurezza mentre dimentica completamente arte e cultura, e le autorità culturali non essendo gente del posto, non capiscono o provano lo stesso amore per le nostre culture, come noi, gente del posto. Ogni volta che organizzano eventi culturali, risultano traballanti, sbagliati e culturalmente imbarazzanti. Hanno solo sbattuto sul tavolo un po’ di soldi per lo svolgimento dell’evento, ma non ci hanno assolutamente messo il cuore. Lo Stato dovrebbe sponsorizzare tali eventi, certo, ma alla gente del posto dovrebbe essere consentito di organizzare gli eventi e avere la massima partecipazione.»
Tuttavia, Sulaiman vede un lato positivo nella violenza del profondo Sud, attira più attenzione sulle culture della zona. «Ogni volta che c’è un concorso artistico e la voce di uno di etnia malese mostra la propria identità, allora quella voce ottiene più attenzione rispetto al passato. La nostra identità ha una voce più forte, come un fiore di loto che sovrasta un paesaggio troppo intriso di sangue per fiorire.»
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Chokchai Anagul, di etnia Hainanese, abita a Saiburi, proprietario del negozio di fotografia Neramit.
«Questo è il più antico negozio di fotografia a Saiburi; è aperto da più di 80 anni. Gestire un negozio di fotografia, in passato, era abbastanza ingombrante, ma ora è tutto molto più facile e veloce con l’utilizzo del computer. Conosco solo qualche parola di cinese, ma il mio malese è abbastanza buono per l’uso quotidiano. Ho imparato Malese ascoltando i malesi parlare e ricordando le loro parole. A dire il vero, ho più amici malesi che thailandesi. I malesi sono persone veramente oneste, e se amano qualcuno, è per davvero.
Oltre l’80 per cento dei miei clienti sono malesi. Con gli anziani malesi non puoi parlare Thai, quindi devo parlare Malay con loro. Con i malesi più giovani posso parlare Thai. Da quando le violenze sono iniziate, la mia attività è proseguita normalmente. C’è stata qualche diffidenza della comunità verso alcuni gruppi, ma con le persone che conosciamo, tutto è rimasto lo stesso.
Faccio anche foto fuori dal negozio, in particolare per le scuole tradizionali islamiche. Devo anche viaggiare in zone rurali, luoghi fuori strada. Cerco di non avere paura anche perché parlo sempre con la gente di qui attorno, in modo che mi conoscano e si fidino di me. Ci sono stati cinesi che si sono trasferiti fuori dalla zona. Posso capire perché; qui può essere spaventoso. Credo sia difficile vivere qui avendo sempre paura.
Una volta una bomba è esplosa a soli 600 metri di distanza dal negozio e tre dei miei amici sono morti. Erano due cinesi e un sino-thai. Avevo davvero paura in quei momenti. Non c’era modo di sapere se sarei stato il prossimo.
Le violenze qui sono senza volto. Non sappiamo chi è il responsabile del gruppo, quindi non sappiamo quale direzione prenderanno i colloqui di pace, [se l’area diventa indipendente] non sappiamo da chi saremo governati.
Quando attraverso i posti di blocco, i soldati vedendo che sono cinese mi salutano e transito rapidamente. Se dovessi contrabbandare armi, sarebbe molto facile farlo. Vorrei che questa zona fosse tranquilla, ma probabilmente accadrà tra un po’. Non so, forse tra dieci anni.»
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Le parti precedenti in:
– L'(a)normale vita quotidiana nel profondo sud della Thailandia
– Saiburi Looker: forgiare amicizie all’interno di un territorio pericoloso
- Fotografia come esclamazione di vitalità - 19/08/2016
- La Thailandia, la zucca e… il peperoncino - 11/08/2016
- Hiroshima, la bomba di Dio - 06/08/2016