«Gli antichi Greci coniarono il termine “barbaros” per indicare tutti quei popoli che abitavano le terre circostanti, ma che non parlavano greco. I popoli chiamati “Barbari” non erano necessariamente peggiori, inferiori o “meno umani” di coloro che così li definivano. Erano semplicemente diversi. Erano non-Greci. Non come “noi”, gli Ellenici. E come potevamo “noi”, gli Ellenici, sapere che non erano come “noi”? Perché non eravamo sicuri che loro avrebbero capito quello che desideravamo dirgli, esattamente come noi non eravamo – non potevamo essere – sicuri di quello che avrebbero voluto dirci. In poche parole, noi, i Greci, e loro, i Barbari, non potevamo comunicare, non eravamo particolarmente entusiasti di parlare con loro. Una volta affermato, questo sospetto si è dimostrato auto-perpetuante: non fidandoci sufficientemente dei Barbari da sentirci a nostro agio in loro presenza, abbiamo anche avuto poche o nessuna possibilità di sottoporre il nostro sospetto a una verifica (per non parlare della possibilità di respingerlo).»
«Quando si interagisce in assenza di comunicazione non si può essere sicuri di comprendere quello che le movenze e i gesti dell’altro vogliono significare (quali sono le intenzioni dell’altro, quale sarà la sua prossima mossa). Temiamo di non capire il senso del messaggio che ci viene rivolto. È possibile che i Barbari avessero, esattamente come noi, i loro usi e costumi, le loro regole di comportamento, la loro logica, i loro principi etici ma anche ammesso che disponessero di tutto ciò che è necessario per rendere il loro comportamento “comprensibile”, regolare e prevedibile, noi li avremmo comunque identificati come “oscuri” e vaghi, come un mistero che deve essere ancora risolto o che, peggio ancora, è irrisolvibile. È questa la ragione per cui è preferibile ridurre i contatti reciproci al minimo, mantenere le giuste distanze. La mancanza di fiducia e la distanza tendono ad auto-alimentarsi e ad auto-rinvigorirsi, mentre le loro cause prime diventano profezie auto-avveranti.
I Barbari erano semplicemente degli estranei.
… il concetto di “barbarie” durante la modernità è stato usato come strumento e giustificazione per la conquista del mondo. Fornì la foglia di fico per nascondere le orribili e vergognose atrocità dell’imperialismo e del colonialismo. Permise di “ribaltare le responsabilità”: spostare l’obbrobrio etico e la condanna morale dagli assassini alle loro vittime. Tale ribaltamento fu forse il più ingegnoso tra i meccanismi creati e impiegati nella lunga tradizione della strategia di “incolpare le vittime”; ma questo non era l’unico trucco semantico nella cronaca dell’idea di “barbarie”.
Fomentare l’ansia collettiva e le paure individuali è oggi uno dei dispositivi a cui si fa più frequentemente ricorso; a dimostrazione che il tratto caratteristico dell’attuale sovranità politica è dato dal diritto di reintrodurre, per intero o selettivamente, lo stato di barbarie. Bisognerebbe riconoscere l’importanza che tale scoperta possiede, e trattarla con la serietà che merita.
… A prescindere dal fatto che lo “stato d’eccezione”, ormai arma sempre più usata dai governi moderni per gestire le crisi, sia collegato o meno all’antica istituzione del iustitium (o, se si vuole dare credito a M. Bachtin, all’incredibilmente simile istituzione medievale del carnevale), è chiaro che esso non si limita più a indicare episodi straordinari d’emergenza. Tutto mostra che esso è sulla buona strada per diventare la nuova quotidianità, “un normale stato di cose”. Nell’attuale fase storica della civiltà, la totale o parziale assenza, sospensione, pigrizia, indifferenza o volontaria inefficacia della legge (a prescindere che sia esercitata, intesa o minacciata), sta diventando uno dei modi più comuni con cui la legge si manifesta.» (Lo spettro dei barbari. Adesso e allora – Zygmunt Bauman – Bevivino Editore)
E qui la recente intervista a Zygmunt Bauman: I migranti risvegliano le nostre paure. La politica non può rimanere cieca
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