«Il 5 giugno del 1919, John Maynard Keynes scrisse al primo ministro britannico David Lloyd George: “Debbo informarla che sabato mi defilerò da questa scena da incubo. Qui non posso più essere utile”.
Così terminava la sua esperienza come rappresentante del tesoro britannico alla conferenza di pace di Parigi. In questo modo Keynes evitava di rendersi complice del trattato di Versailles, a cui era ferocemente contrario e che sarebbe stato firmato poco dopo. Perché Keynes si opponeva a un trattato che metteva fine alla guerra tra la Germania e le potenze alleate, cosa sicuramente positiva?
Keynes, naturalmente, non si rammaricava della fine della guerra mondiale né del fatto che servisse un trattato per metterle fine, ma delle condizioni del trattato, e in particolare delle sofferenze e delle difficoltà economiche che venivano imposte alla Germania, il nemico sconfitto, attraverso una politica di austerità forzata.
Oggi l’austerità è un tema di grande interesse in Europa, e aggiungerei “purtroppo”.
(tratto da Amartya Sen: The economic consequences of austerity – New Statesman – traduzione italiana Internazionale n. 1110)
«Nella mia prima settimana come ministro delle finanze ho incontrato Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo (i ministri delle finanze della zona euro), che mi ha messo davanti ad una scelta netta: accettare la “logica” del piano di salvataggio e abbandonare eventuali richieste di ristrutturazione del debito o “l’accordo in corso sul vostro prestito si bloccherà” – il contraccolpo, non detto, è che le banche greche sarebbero state chiuse. Seguirono cinque mesi di trattative in condizioni di asfissia monetaria ed un percorso verso una bancarotta indotta, sorvegliata e gestita dalla Banca centrale europea. The writing was on the wall (un avvertimento): a meno che non capitolassimo, presto saremmo stati di fronte a controlli sui capitali, bancomat quasi-funzionanti, un giorno festivo prolungato e, in ultima analisi, Grexit.»
(da Yanis Varuofakis: Germany won’t spare Greek pain – it has an interest in breaking us, The Guardian)
Amartya Sen ci ricorda i perché dell’abbandono di Keynes e Yanis Varoufakis, che ha chiuso la sua esperienza politica, forse come il suo illustre predecessore, per non essere presente a questa scena da incubo, ci racconta quel che è accaduto a lui quando era all’inizio del suo mandato di Ministro delle Finanze del governo greco.
Appare evidente che la minaccia “Grexit” era già stata scritta ben prima dell’Eurogruppo che ha sottomesso il governo Tsipras alle odierne dure misure di austerità.
Un aspetto inquietante per la democrazia che Sen, nel suo articolo, affronta con toni pacati ma risoluti.
«Se i leader europei, portatori di un’idea piuttosto ristretta delle priorità finanziarie, avessero incoraggiato la discussione pubblica, invece di prendere decisioni unilaterali in circoli finanziari chiusi, senza alcun contributo dall’esterno, forse avrebbero evitato gli errori attraverso i normali processi democratici di delibera, esame e critica. È singolare che questo non sia successo nel continente che ha insegnato al mondo i fondamenti della democrazia istituzionale. Questa profonda incapacità di imparare le lezioni del passato sul rilancio, la riduzione del deficit e la crescita economica non è solo una questione di scelte sbagliate dei leader finanziari, a partire dalla Banca centrale europea, ma anche di deficit democratico nell’Europa di oggi. Il fatto che quasi tutti i governi dell’eurozona che hanno attuato misure di austerità abbiano perso le elezioni non è una consolazione. Il senso della democrazia dovrebbe essere quello di prevenire gli errori attraverso la partecipazione ai processi decisionali, non di far cadere le teste dopo che gli errori sono stati commessi. È per questo motivo che John Stuart Mill vedeva la democrazia come un “governo attraverso la discussione” (espressione coniata, su ispirazione di Mill, da Walter Bagehot). Ma perché ciò avvenga la discussione deve arrivare prima, e non dopo la decisione pubblica. (…) Un’opinione pubblica informata e consapevole è fondamentale per la capacità di un governo democratico di prendere buone decisioni. (…) In questo mondo, scrive Keynes, possiamo fare la differenza solo “mettendo in moto quelle forze dell’istruzione e dell’immaginazione che fanno cambiare le opinioni”. Nell’ultima frase del libro Keynes ribadisce la sua speranza: “Dedico questo libro alla formazione dell’opinione pubblica del futuro”. In quella dedica c’era sia ottimismo sia un atteggiamento illuminato. Oggi abbiamo un gran bisogno di entrambi»
(da Amartya Sen, come sopra)«Nel 2010, lo Stato greco diventa insolvente. Si presentarono due opzioni coerenti con la costante adesione alla zona euro: quella sensibile, consiglio di ogni banchiere decente – ristrutturazione del debito e riforma dell’economia; e l’opzione tossica – estendere nuovi prestiti a un’entità in bancarotta fingendo che fosse solvibile.
Ufficialmente l’Europa scelse la seconda opzione, mettendo il salvataggio delle banche francesi e tedesche esposte al debito pubblico greco sopra la vitalità socio-economica della Grecia. Una ristrutturazione del debito avrebbe comportato, per i banchieri, perdite nelle loro aziende.
Quindi per evitare di confessare ai contribuenti che avrebbero dovuto pagare di nuovo per le banche, per mezzo di nuovi prestiti insostenibili, i funzionari dell’UE hanno presentato l’insolvenza dello stato greco come un problema di illiquidità, e giustificato il “salvataggio” come un caso di “solidarietà” con i greci. (…) il trasferimento delle irreparabili perdite private sulle spalle dei contribuenti, come un esercizio di “tought love” (amore severo, fermezza a fin di bene) (…)
Una volta completata la sordida operazione, l’Europa aveva acquisito automaticamente un altro motivo per rifiutare di discutere la ristrutturazione del debito: ora avrebbe colpito le tasche dei cittadini europei!» (da Yanis Varuofakis, come sopra)
Scegliere (imporre) l’austerità presuppone l’accettazione, da parte dei cittadini, di sacrifici immediati a fronte di un futuro miglioramento socio-economico, «… l’austerità forzata di questi anni non è un incubo ingiustificato, come farebbe pensare l’analisi di Keynes… ma una specie di duro allenamento in vista di un futuro più sano, come hanno sempre detto i sostenitori dell’austerità. È così che stanno davvero le cose?» (da Amartya Sen, come sopra)
«E così dosi crescenti di austerità sono state somministrate mentre il debito è cresciuto sempre di più, costringendo i creditori ad erogare più prestiti in cambio di ancora più austerità. (…) i nostri creditori continuano a escludere qualsiasi tangibile ristrutturazione del debito pur insistendo che, il nostro debito impagabile, può essere ripagato “parametricamente” da parte dei greci più deboli, i loro figli e i loro nipoti.» (da Yanis Varuofakis, come sopra)
Ora che i (presunti) vincenti hanno imposto ai (presunti) sconfitti le loro condizioni verrebbe voglia di dire che: la storia si ripete. Ma questo è forse solo un modo di semplificare i fatti, una semplificazione con cui cerchiamo di mantenere il controllo dell’enorme flusso di informazioni che ci arrivano di continuo. Cerchiamo di dare ai fatti un ordine che invece è dominato del caso.
Nel film Zorba il greco (1964) – diretto da Michael Cacoyannis e basato sull’omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis – Basil, uno scrittore inglese di origini greche, ha ereditato una miniera abbandonata, sull’isola di Creta. Qui conosce Alexis Zorba, un greco di mezza età, pieno di vitalità e innamorato della vita. Il progetto di Zorba per il recupero della miniera di Basil naufragherà miseramente, anche perché, inviato in città per procurare, con i soldi di Basil, del materiale per costruire una teleferica, si dà alla bella vita e torna senza il materiale. Nella scena finale, Basil gli annuncia la sua imminente partenza e la promessa di ritrovarsi un giorno, ma Zorba, senza illusioni, dice che non lo rivedrà più, e che il tentativo di recuperare la miniera è stato “uno spendido disastro”.
Sì, forse non avevamo mai visto un disastro più splendido, le speranze accese dal referendum greco sembrano soffocate sotto una montagna di debiti. Ma vincere giocandosi la carta dell’austerità non ha mai portato a nulla di buono. Non servirà attendere un’ardua sentenza dei posteri, la partita non è finita e voglio credere che saranno le giovani generazioni di oggi quel grimaldello che scardinerà l’antidemocratico strapotere che le istituzioni affaristico-finanziarie vantano sulle istituzioni politiche.
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