Sei persone sono state uccise e una ventina sono rimaste ferite in otto diversi attentati avvenuti nel profondo sud della Thailandia nella notte tra venerdì 10 luglio e sabato 11 luglio 2015. Gli incidenti hanno interessato le province a maggioranza malay e musulmana di Narathiwat, Songkhla e Yala. Dal 2004 ad oggi l’insurrezione nel sud della Thailandia ha causato più di 6.300 vittime. I vari gruppi ribelli che combattono il governo centrale chiedono l’indipendenza o perlomeno maggiore autonomia per le tre province meridionali.
Nell’ultima serie di attacchi tre persone sono morte venerdì sera quando una bomba è esplosa all’esterno di un noto bar-karaoke nel quartiere Sadao della provincia di Songkhla. Sempre venerdi sera, una bomba è esplosa di fronte ad un bar-karaoke nel quartiere Sugnai Kolok di Narathiwat ferendo otto persone. Poco dopo la mezzanotte un attacco incendiario contro dei negozi dello stesso quartiere ha causato altri tre morti, mentre in una zona vicina un uomo 35enne è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un numero imprecisato di uomini armati. A Yala una bomba ha danneggiato dei cavi elettrici causando un blackout nel quartiere di Than To.
La Thailandia, nazione prevalentemente buddhista che ha annesso le province meridionali a maggioranza musulmane all’inizio del Ventesimo secolo, è accusata di perpetrare gravi violazioni dei diritti umani nonché di soffocare la cultura locale attraverso un forzata quanto inutile opera di thailandesizzazione. I ribelli prendono di mira le forze di sicurezza e i rappresentanti del potere statale, ma anche i cittadini, sia buddhisti che musulmani, considerati “traditori” ed asserviti alla potenza occupante, come anche i luoghi del “peccato”, vale a dire bordelli e bar-karaoke, e chi li frequenta. Dall’altra parte, le forze di sicurezza vengono spesso accusate di omicidi mirati e di uccidere civili nei raid contro presunti nascondigli di militanti e gruppi armati. Critici e associazioni per i diritti umani condannano la presunta “cultura dell’impunità” che impedirebbe ogni processo contro soldati o funzionari colpevoli di delitti.
La giunta militare della Thailandia, che ha preso il potere con un colpo di stato nel maggio del 2014, ha promesso che il processo di pace con i diversi gruppi ribelli che operano nel profondo sud, al momento in fase di stallo, sarebbe stato riavviato al più presto. Al momento queste dichiarazioni rimangono lettera morta e sul fronte della sicurezza, almeno per quanto riguarda l’estremo sud del Regno, non si registrano progressi.