Il NO ha vinto il referendum greco, non ha vinto la democrazia. La democrazia aveva già vinto nel momento stesso in cui si è stabilito di fare il referendum.
Non dimentichiamoci che una proposta di referendum, del precedente governo greco, era stata cassata dalla Germania (inutile dire dalla UE). E non dimentichiamoci che nel 2008 il NO vinse in Irlanda – si votava per ratificare il Trattato di Lisbona – e che, dopo l’euro-sconcerto iniziale, venne indetto un nuovo referendum. La nuova domanda era: «Ma, allora, volete restare nell’Unione Europea?». Vinse il SI e dunque il NO precedente venne trattato come un SI. Inutile anche ricordare che, riguardo ai diversi accordi europei, gli italiani sono stati interpellati con un solo referendum consultivo nel 1989.
In questi ultimi giorni ho letto tante e diverse opinioni di economisti ed opinionisti più o meno noti e più o meno addentro alla questione. Ho anche ritenuto inutile leggere le povere opinioni dei mediocri politici nazionali. Avevo affrontato il tema Europa al momento del voto (Europee 2013) notando come la questione venisse sottomessa ad una portata nazionale (non per nulla poi Renzi se ne è furbescamente appropriato) che nulla aveva a che fare con la realtà dei fatti, fatti dominati dal noto imperativo: «Ce lo chiede l’Europa!».
Tutti (o quasi) i partiti italiani erano “europeisti”, se non addirittura per “più Europa”, e questo ha reso ben poco appassionante il dibattito (poi si è visto dall’affluenza alle urne che gli animi degli elettori non erano stati molto toccati) ed ha evitato di mettere in discussione “questa Europa” che comunque “tutti i partiti partecipanti alle elezioni” giudicavano, quanto meno, imperfetta. Anche se, a leggere tra le righe dei vari programmi, qualcosa di nocivo pareva esserci per tanti. Ma meglio non divulgare troppo chiaramente certe notizie. Meglio alimentare lo scontro pro e anti euro, come se le colpe fossero della moneta unica e non della sua gestione politica.
L’attuale costruzione europea non è idonea a sopportare le conseguenze economiche negative dell’adozione dell’euro sui bilanci di singoli stati. Le conseguenze positive, quando ci sono, son capaci tutti a sopportarle. L’attuale gestione della politica economica europea, semplicemente, non esiste (o esiste solo in un organo non elettivo quale la Commissione europea). La BCE non fa politica economica, può attuare mosse di “politica economica” ma Draghi, alla presentazione del QE, ha sottolineato come ora devono essere i politici a (s)muoversi.
Al momento delle elezioni europee l’unico “programma di sinistra” era, per l’appunto, quello della sinistra europea in cui stava scritto:
- Il debito non sarà pagato. Audit dei cittadini sul debito pubblico. Cancellazione del debito illegittimo e sua riformulazione.
- Stop ai piani di austerità al fine di prevenire una catastrofe umana e umanitaria.
Credo che il risultato del referendum greco sia solo una mano di carte buone in una partita che prosegue ad un tavolo a cui siedono i medesimi giocatori. Solo il parterre è cambiato, con alcuni, come Renzi, che non sanno più da che parte stare, ed anche di questo “effetto collaterale” bisogna ringraziare il risultato del referendum.
Yanis Varoufakis, il Ministro delle Finanze greco, si è appena dimesso, per favorire l’allentamento di tensioni che – a quanto pare – la sua presenza provocava in ambito Troika.
Ma allora, cosa è cambiato? Il giocatore greco ha ritrovato l’ottimismo, può guardare con dignità il duro futuro che ha davanti. Ora è importante, per dirla con Yannis Varoufakis, che “la forza dell’ottimismo non venga sconfitta dal demone del pessimismo”.
- Fotografia come esclamazione di vitalità - 19/08/2016
- La Thailandia, la zucca e… il peperoncino - 11/08/2016
- Hiroshima, la bomba di Dio - 06/08/2016