I brani che seguono sono tratti dalla conferenza tenuta da Zygmunt Bauman il 9 ottobre 2013 presso il Teatro Dal Verme di Milano, integralmente riportata nel libro: Vita tra reale e virtuale (Zygmunt Bauman – Ed. Egea.)
Ho già riportato parte dell’intervento che fa riferimento generico ad Internet. Questa seconda ed ultima parte fa meglio comprendere quale sia il pensiero del grande sociologo riguardo ai social network, Facebook in testa, ed amplia i concetti di «superficializzazione» delle informazioni e della comunicazione e la «fragilizzazione» dei rapporti umani (corsivo dall’introduzione di Maria Grazia Mattei).
Progresso e memoria
Senza dubbio l’avvento di Internet rappresenta un ulteriore, fondamentale passo lungo il percorso umano che definiamo con la parola “progresso”. Progresso vuol dire molte cose e, tra queste, l’accezione più importante è quella di “promessa di benessere e comodità per rendere la vita facile”. La maggiore felicità, unita a benessere e comodità, provoca una diminuzione delle capacità che si acquisivano in passato, spesso con fatica e sacrifici. Dimentichiamo capacità una volta indispensabili ma oggi assolutamente ridondanti. Lo sviluppo della cultura si basa sull’apprendimento di nuovi precetti e l’oblio di quelli vecchi. Immaginate se doveste accendere un fuoco solo con della paglia e una pietra focaia. Non lo sappiamo fare.
Esistono, tuttavia, conoscenze più importanti che, con il progredire dell’uomo, si tramutano in “perdite collaterali”, “vittime collaterali” o “danni collaterali”, a seconda di come li vogliamo chiamare. A volte ci si chiede se i benefici ottenuti compensino veramente i vecchi saperi ormai dimenticati, quelli che rendevano i nostri genitori e nonni felici e davano loro uno scopo nella vita.
Progettare, inventare, disegnare e creare nuove idee sono tutte attività che la tecnologia digitale può già copiare, trasferire e fare proprie. Nel digitale abbiamo già riversato, come probabilmente anche la vostra esperienza vi insegna, un’enormità di abilità fondamentali che i nostri predecessori possedevano, ovvero la capacità di memorizzare, immagazzinare, trattenere e riciclare la conoscenza. La nostra memoria è il server. Noi semplicemente trasferiamo la nostra memoria a server che immagazzinano conoscenza. Ci consola il fatto che, se abbiamo bisogno di un’informazione, possiamo sempre andare su Google per ottenere la risposta cercata. La conseguenza, però, è che la nostra capacità di ricordare e immagazzinare sapere nelle nostre teste si riduce sensibilmente.
Oblio e social network
La verità è che per ogni passo in avanti guadagniamo qualche cosa ma non possiamo fare a meno di perdere qualcos’altro in cambio.
Facebook era e rimane un successo planetario con pochi precedenti nella storia, non solo in termini economici. Che cosa ha condotto alla sua sconfinata popolarità? Quale intuizione geniale ha avuto Zuckerberg? A quale esigenza ha dato una risposta? In che cosa consiste questa miniera d’oro che ha scoperto il giovane americano?
La risposta si trova nella nostra crescente sensazione di fragilità e instabilità dei legami umani, ovvero la paura di essere rifiutati, esclusi e abbandonati, di trovarci in una situazione in cui nessuno vuole più niente da noi, circondati dall’oblio più totale e profondo, soli, abbandonati e lontani dal mondo. Spesso ci sentiamo come prodotti di largo consumo per i quali non c’ è più domanda. … Questo modello consumista di relazione cliente-bene di consumo è sempre più presente anche nei rapporti tra esseri umani. …
L’amore e l’amicizia non sono oggetti pronti all’uso ma, per durare devono essere il prodotto di un impegno continuo, quotidiano e costante. Quando l’atteggiamento di ‘produttore’, di ‘creatore” viene sostituito dall’approccio consumista, si produce un cambio sostanziale. Il risultato è ciò che Anthony Giddens, un sociologo inglese, ha definito “relazioni pure”. Secondo il paradigma delle relazioni pure, l’unica ragione per la quale le persone stanno insieme, formano coppie e si dicono “ti amo” e “ti amo anch’io” è la soddisfazione che traggono dal partner. Nel momento in cui la soddisfazione scema o si comincia a sospettare che al mondo possa esistere un’altra persona in grado di soddisfarci di più, non c’ è alcuna ragione che ci impedisce di abbandonare ciò che abbiamo. Siamo, infatti, liberi di sostituire l’attuale compagno o compagna con un novo partner.
Il problema delle relazioni pure è che per creare una relazione, condividere la propria vita e stare con una persona, c’ è naturalmente bisogno di un “accordo”, un mutuo consenso. Per terminare un rapporto, però, è sufficiente la decisione di una parte. Di conseguenza entrambe le parti vivono nel costante timore che prima o poi l’altro decida di “averne abbastanza” e, per noia o qualsiasi altra ragione,decida di voler cambiare.
La sensazione primordiale di fragilità e instabilità nelle relazioni umane è al tempo stesso lo sfondo e la base di questa paura di essere abbandonati e lasciati a se stessi. Per quanto questo elemento sia fondamentale per questo paradigma, non è sicuramente l’unico, anche le relazioni professionali sono fragili. Se hai successo sul lavoro, la tua azienda tenderà a valorizzarti. Tuttavia è sufficiente una semplicissima fusione societaria per mettere in pericolo la sicurezza professionale. In aggiunta, l’approccio contemporaneo al lavoro non è basato sul sostegno reciproco, sulla condivisione dei rischi, problemi e sfide ma si ispira alla competizione costante. I colleghi cospirano contro di noi così quando avverrà l’inevitabile ed ennesima serie di tagli al personale, sarà la mia testa, non la loro, a cadere.
La questione è fondamentale e potrebbe essere espressa con una domanda: chi si farà carico del problema? Da giovani eravamo assillati dalla domanda: “Che cosa bisogna fare?” ma non ci siamo mai curati di interrogarci sul “chi”. Eravamo tutti convinti che gli stati nazionali avessero gli strumenti, la forza e la determinazione per rendere efficace ogni loro iniziativa.
Oggi, purtroppo, non è più così. Sempre meno persone credono che i governi, i partiti politici e i sistemi parlamentari siano in grado di tenere fede alle proprie promesse. La domanda, quindi, non è più “che cosa bisogna fare”; il dialogo corretto e appropriato su questo tema ci porterebbe a concordare su molti punti ma non potremmo eludere la questione su “chi si farà carico dell’esecuzione”. Gli stati nazionali stanno mostrando i sintomi del divorzio tra il potere e la politica. Quest’ultima non ha più la forza di tradurre le proprie finalità in realtà. …
Per questo, elezione dopo elezione, la gente è sempre più delusa dal comportamento del proprio governo, non necessariamente per la corruzione … ma perché, se esposto a pressioni contrapposte, neanche il più onesto dei politici sarà in grado di dare al popolo ciò che gli ha promesso. …
In sostanza le probabilità che la soluzione arrivi dallo stato sono scarse. Che dire, quindi, della capacità individuale di risolvere i problemi che ci affliggono?
Nella nostra società individualizzata siamo tutti cittadini, ovvero si presume che siamo nel pieno possesso delle nostre vite. Per questo siamo chiamati, attraverso le nostre capacità personali, a trovare soluzioni altrettanto personali per i problemi socialmente indotti. Si tratta di un compito improbo e impossibile, in quanto le risorse del singolo sono troppo esigue per affrontare problemi di portata universale. Neanche la salvezza arriverà dallo Stato. Di conseguenza, sembrano esistere delle aree di mezzo in cui è possibile fare qualcosa. Questi territori hanno un nome: comunità locali. Le città contemporanee sono dei cestini della spazzatura per problemi creati nello spazio globale e per i quali non possono fare nulla. I nostri problemi sono senz’altro un prodotto globale ma le soluzioni sono demandate a coloro che risiedono nelle città. I centri urbani, in particolare i più estesi, sono costretti ad agire come laboratori di sperimentazione e progettazione delle soluzioni alle diverse situazioni, prima che queste diventino operative. Le città l’ultima speranza per un’azione collettiva veramente efficace.
Facilità o fragilità
Il senso di incertezza aumenta vertiginosamente finché non arriva Zuckerberg e ci dice “non vi preoccupate, con questo semplice gingillo sarete in grado di conoscere fino a 500 amici in meno di un giorno”. Non è uno scherzo, questa frase mi è stata riferita da un “maniaco” di Facebook. Si vantava di aver aggiunto 500 amici in meno di un giorno. Da parte mia gli ho risposto che neanche alla veneranda età di 88 anni potevo vantare un numero così nutrito di amici. Non c’ è dubbio che la mia accezione della parola “amicizia” fosse molto diversa dalla mia.
Facebook e gli altri social network mantengono la promessa fatta dalla modernità: rendono più facile la vita, eliminano ogni sforzo in termini di lavoro e apprendimento, evitano le sfide, le incertezze, le insicurezze. Oggi conoscere nuovi amici è diventato incredibilmente facile. Con qualche movimento del dito siamo in grado di aggiungere una persona alla nostra “rete”. Allo stesso tempo, però, Facebook ci da anche la possibilità di interrompere relazioni e amicizie con la stessa disarmante facilità. La noia, il semplice sospetto che una data persona non soddisfi le nostre attese, il disaccordo o il minimo segno di un conflitto ci portano a cancellare un nome dalla nostra rete, smettere di inviare tweet o messaggi invece di cercare di riparare il rapporto. Fine della storia. Non c’è neanche più bisogno di scusarsi.
Nella vita reale, offline, questo atteggiamento è molto più difficile. Interrompere un rapporto nella vita reale, se mai vi è capitato, è un affare parecchio complicato. Dobbiamo inventare scuse credibili, litighiamo, spesso mentiamo e scorrono fiumi di cattivo sangue. E anche se riusciamo a sopportare tutto ciò, non potremo mai essere sicuri che il nostro ex partner potrà un giorno tornare a perseguitarci. Nei social network questo rischio è praticamente inesistente.
Ecco, quindi, un altro danno collaterale provocato dai social network. Una volta ceduto alla lusinghiera facilità delle amicizie in stile Internet, perdiamo la capacità di tornare con i piedi per terra, a comportarci come un essere umano in situazioni umane reali e ordinarie. Di conseguenza, creare un contatto senza l’ausilio di un gadget diventa sempre più difficile. Non fraintendetemi, è sempre stato difficile ma oggi lo è sempre di più. … Questa nuova comodità telematica sembra rimuovere l’infelicità che è parte della vita umana ma, come sempre, c’ è un prezzo da pagare.
Dalla conferenza tenuta da Zygmunt Bauman il 9 ottobre 2013, presso il Teatro Dal Verme di Milano e integralmente riportata, a cura di Maria Grazia Mattei, nel libro Vita tra reale e virtuale (di Zygmunt Bauman, Ed. Egea).
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