In Irlanda, dove fino a 20 anni fa l’omosessualità era reato, il referendum per il matrimonio egualitario vince col 62% dei voti. Italia unico Paese occidentale a non riconoscere diritti alle coppie gay
(Asiablog.it) – Con il loro voto favorevole, gli elettori irlandesi hanno appoggiato la nuova clausola costituzionale che recita così:
Marriage may be contracted in accordance with law by two persons without distinction as to their sex.
In italiano:
Il matrimonio può essere contratto, in accordo con la legge, da due persone senza distinzione di sesso.
Una grande rivoluzione racchiusa in 17 innocue parole. Una frase chiarissima, nella quale la legge non fa distinzione tra i cittadini, definiti semplicemente come “persone senza distinzione di sesso”. Che sotto i vestiti queste persone abbiano un pene o una vagina rimane un fatto privato.
Prima del voto, tutti i partiti irlandesi si erano schierati a favore della legalizzazione del matrimonio egualitario. Sinistra, centrosinistra laburista, centro e centrodestra — che d’altronde avevano già approvato la legge in parlamento — hanno invitato gli elettori a votare Sì.
E dire che l’Irlanda è storicamente una roccaforte del cattolicesimo europeo, dove ancora negli anni Settanta il 90% degli irlandesi dichiarava di andare a messa almeno una volta alla settimana, i profilattici furono illegali fino al 1980, l’omosessualità venne depenalizzata solo nel 1993, il divorzio fu approvato nel 1995 e l’aborto resta illegale ancora oggi, caso unico in Europa e in buona parte del mondo.
Ma le cose stanno cambiando velocemente, con l’egemonia culturale della Chiesa cattolica erosa da mutamenti sociali e terribili scandali legati alla pedofilia. Ora “la Chiesa “deve fare i conti con la realtà”, ha commentato l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin.
I fatti d’Irlanda sottolineano ancora una volta l’arretratezza italiana. Se con il referendum del 22 maggio l’Eire si butta alle spalle tabù e superstizioni, concedendo a tutti i cittadini pari diritti, la situazione a Roma sembra lontana anni luce. Dopo anni di chiacchiere e attendismo, il Partito democratico (Pd) è riuscito a farsi sorpassare a sinistra dalle destre dell’intero continente. Mentre nel Regno Unito il leader conservatore David Cameron ha voluto fortemente i matrimoni gay “proprio perché sono un conservatore”, il centro-sinistra italiano balbetta e arranca. Abbandonata dalla cattolicissima Irlanda, l’Italia resta l’unico Paese Occidentale a non riconoscere alcun diritto – né matrimonio, né unioni civili – alle coppie dello stesso sesso.
Mario Adinolfi, assiduo frequentatore dei social network ed ex parlamentare piddino, si è trasformato ormai nell’esponente più in vista della crociata anti-LGBT. Su Facebook Adinolfi ha commentato i risultati del referendum con una nuova dose di vittimismo (“I contrari al matrimonio gay sono stati irrisi, insultati, fatti sentire omofobi e retrogradi”) e criticando chi plaude alla vittoria del Sì: “Essere conformisti è comodo”.
Il giornalista romano annuncia che il giornale da lui diretto, “fucina di non conformismo” e “unico quotidiano in Italia a considerare vitale questa battaglia”, continuerà la crociata per non estendere i diritti civili a tutte le coppie, aggiungendo che “i paesi con il matrimonio gay sono 23, quelli che lo rifiutano sono 175.” Vittimismo a parte, che non è mai utile, e opinioni a parte, che ovviamente Adinolfi ha il diritto di avere ed esprimere, risulta difficile capire il senso di questa conta.
In ordine cronologico, le nazioni che hanno legalizzato il matrimonio egualitario sono Paesi Bassi (2001), Belgio (2003), Spagna (2005), Canada (2005), Sud Africa (2006), Svezia (2009), Norvegia (2009), Portogallo (2010), Islanda (2010), Argentina (2010), Danimarca (2012), Uruguay (2013), Nuova Zelanda (2013), Francia (2013), Brasile (2013), Inghilterra (2014), Galles (2014), Scozia (2014), Lussemburgo (2015), Irlanda (2015) e, in dirittura di arrivo, Slovenia e Finlandia.
Se a questa lista aggiungiamo i 36 stati Usa su 50 che hanno legalizzato il matrimonio gay e quella dei Paesi che riconoscono le unioni civili (Germania, Austria, Svizzera, Australia e via dicendo) abbiamo un gruppo di circa 40 nazioni, un quinto del mondo. Guarda caso, nella lista c’è la Norvegia ma non l’Uganda, c’è lo stato di Washington ma non il Tajikistan, c’è il Canada ma non c’è lo Yemen. Che significa? Significa che i Paesi che riconoscono questi diritti sono sostanzialmente gli stessi Paesi che eccellono per indice di sviluppo umano.
In altre parole, l’italiano conservatore che dice “vabbè abbiamo perso l’Irlanda ma abbiamo ancora un sacco di Paesi” sta sostenendo che l’Italia, invece di guardare al progresso che avviene nei Paesi a più alto indice di sviluppo umano, dovrebbe prendere come esempio le leggi dei Paesi a minore indice di sviluppo umano.
I fari della battaglia “anti-conformista” del crociato Adinolfi, evidentemente, debbono essere i Paesi dell’Africa subsahariana, della penisola araba, del subcontinente indiano, o magari Iran, Afghanistan, Isole Salomone e Papua Nuova Guinea.
Un altro aspetto a dir poco singolare dell’anomalia italiana è che Mario Adinolfi e le frange più conservatrici della cultura italiana, sempre in prima fila quando si tratta di esaltare la “Cultura Occidentale” per contrapporla a quella islamica — regolarmente deformata e rappresentata come capace di generare solamente il terrorismo di Isis e Al Qaeda — non riescono a rendersi conto che l’universo culturale a loro più vicino non è quello dei caffè di Parigi o Berlino, ma proprio quello dei fondamentalisti religiosi del deserto siriano e delle montagne di Tora Bora.
Agli antipodi rispetto ad Adinolfi, giuristi come Stefano Rodotà e Vladimiro Zagrebelsky sostengono che l’introduzione di una legislazione che garantisca il rispetto della dignità e dell’eguaglianza di tutti i cittadini italiani sia non solo possibile, ma addirittura doverosa ed inevitabile. La speranza è che questo Parlamento riesca ad applicare la Costituzione italiana, le normative europee ed il buon senso abolendo ogni forma di discriminazione basata sulle tendenze sessuali.