A 8 mesi dai bombardamenti israeliani, sono arrivati solo il 5% degli aiuti promessi dai donatori. Manca elettricità, acqua, cibo, lavoro, tutto. Cresce la rabbia
(Asiablog.it) – A Gaza, dopo 8 mesi dall’ultima operazione militare israeliana, c’è ancora la stessa atmosfera di guerra: le rovine di migliaia di case distrutte si stagliano ancora lungo le vie di Gaza, mentre più di 100mila persone hanno perso le loro abitazioni e vivono ancora nelle peggiori condizioni umanitarie. Sono più di 10mila le persone costrette a vivere nelle scuole dell’UNRWA, in condizioni estreme per la vita umana. Centinaia di senzatetto sono costretti a vivere con i loro figli all’interno di caravan grandi quanto una cella. Alcuni quartieri residenziali, nella parte Est di Gaza, appaiono oggi come un cumulo di macerie tra un caravan e l’altro.
Nonostante le promesse fatte della comunità internazionale durante la conferenza al Cairo lo scorso ottobre, quando si raccolsero 5,4 miliardi di dollari per la ricostruzione di Gaza, solo il 5% degli aiuti promessi dai donatori internazionali sono stati utilizzati per riparare i danni subiti dalle case durante i bombardamenti. La ricostruzione sta procedendo molto lentamente sia a causa della mancanza di fondi e sia per il blocco imposto dal 2007 dal governo israeliano, che impedisce di far arrivare a Gaza persino il materiale edilizio necessario a garantire le minime condizioni di vita degli abitanti della Striscia, e che costituisce l’ostacolo più grande per la ricostruzione. Secondo quanto affermato da Oxfam il mese scorso, alla velocità attuale ci vorranno più di 100 anni per ricostruire Gaza. La totale riedificazione di Gaza sarà quasi impossibile da realizzare perché la maggior parte delle macerie è inutilizzabile. I bambini continuano imperterriti a voler andare a scuola, a giocare tra le rovine di quelle che erano le loro case, recuperando piccoli detriti che cercheranno di rivendere ai proprietari delle fabbriche.
L’unica centrale elettrica autonoma di Gaza è stata bombardata nel 2006 ed è stata nuovamente colpita durante l’ultima offensiva militare israeliana. I cavi e le infrastrutture utili alla diffusione dell’energia sono stati tra i principali target degli attacchi di Israele durante la scorsa estate. Attualmente ha ripreso a funzionare a capacità limitata, ma questo mese si è dovuta fermare in anticipo a causa di una disputa tra Hamas e l’Autorità nazionale Palestinese sulla distribuzione delle tasse. Il resto dell’elettricità di Gaza arriva via cavo da Israele o dall’Egitto.
“La situazione dell’elettricità a Gaza è notevolmente peggiorata dal 2006”, afferma Jamal al-Dardasawi, portavoce della Gaza Elettricity Distribution Company, compagnia elettrica locale, “hanno danneggiato la centrale elettrica e tutti i servizi correlati si sono bloccati”.
Israele usa l’elettricità come arma per fare pressione e influenzare negativamente la vita quotidiana dei gazawi. Persino prima dell’offensiva, l’elettricità arrivava a Gaza in blocchi di non più di otto ore, ognuno seguito da altre otto ore di assenza di energia, questo da quando è iniziato il blocco di Gaza nel 2007. La mancanza di elettricità colpisce le persone anche nelle loro più comuni attività quotidiane, ad esempio coloro che vivono nei palazzi residenziali devono aspettare anche più di cinque ore per poter prendere l’ascensore e salire ai propri appartamenti.
Gaza sta inoltre soffrendo una seria crisi idrica, dovuta principalmente al blocco, che impedisce la costruzione di centrali per la desalinizzazione dell’acqua di mare, così come l’impossibilità di accede all’acqua delle sorgenti. L’acqua che arriva alle abitazioni di Gaza perciò non è depurata né potabile, a causa del sale. Inoltre, molte cisterne d’acqua e sorgenti naturali nella parte Est della Striscia, vicino al confine con Israele, sono state completamente distrutte durante i bombardamenti dell’ultima operazione militare. Le organizzazioni internazionali hanno disposto un progetto per distribuire acqua potabile alle abitazioni e alle scuole, mentre la maggior parte delle coltivazioni di Gaza sono state prese di mira dagli attacchi aerei israeliani e ora patiscono la mancanza di acqua.
Le condizioni di vita dei gazawi sono terribili. Anche chi ha la fortuna di avere ancora una casa spesso non vive in condizioni decenti. Sei ore di elettricità al giorno, a volte meno, significa che è impossibile refrigerare il cibo. I negozi non riescono a vendere molti generi alimentari perché facilmente deteriorabili, sopratutto con la fine dell’inverno e l’aumento delle temperature. In molti devono occuparsi di far arrivare l’acqua corrente alle loro case, quando disponibile, e molti gazawi non sanno quando sarà il loro prossimo pasto.
La disoccupazione è praticamente duplicata, passando da 108.000 disoccupati del 2013 a più di 200.000 nel 2014. A causa del blocco imposto da Israele ed Egitto dal 2007, l’economia di Gaza è una delle più instabili al mondo. Il Pil pro capite dei gazawi è comparabile a quello dei paesi dei più poveri del mondo, mentre la disoccupazione giovanile è salita al 70%. Secondo l’ultimo report dell’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi, 900.000 gazawi dipendono totalmente dagli aiuti umanitari. Nel erano circa 100.000.
Anche la situazione psicologica della popolazione è terribile. Makarim Wibisono, relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, sostiene che solo a Gaza 400.000 bambini necessitano di psicoterapia a causa dell’efferatezza degli attacchi israeliani.
A dispetto di tutte i report e le visite delle delegazioni internazionali, nonostante la pressione fatta da alcuni organi ed agenzie delle Nazioni Unite per la fine del blocco e dell’isolamento di Gaza e per l’avvio delle attività di ricostruzione, necessarie per salvare la Striscia dal completo disastro, la situazione sta diventando sempre più insostenibile. La frustrazione di massa a cui è sottoposta la popolazione per via della situazione catastrofica in cui versa Gaza rischia di gettare benzina sul fuoco della rabbia anti-israeliana.
La priorità, oggi, è quella di far arrivare a Gaza il materiale necessario per la ricostruzione delle case, delle scuole, della vita e della dignità dei suoi abitanti, così come è necessario rendere liberamente navigabile il mare di Gaza, per i viaggi come per il commercio, e dare agli abitanti la possibilità di andare a lavorare o studiare all’estero, esattamente come ogni altro paese sulla terra. Al mondo non è richiesto più che l’implementazione e il rispetto dei valori umani fondamentali, delle leggi e dei trattati internazionali, così che la popolazione di Gaza possa finalmente tornare a vivere libera, tranquilla e in pace con il resto del mondo.
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