Era temuto per le sue tattiche autoritarie ed ammirato per aver trasformato la piccola Singapore in una delle nazioni più ricche del mondo. Mise in galera gli oppositori politici e disse: «Decidiamo noi ciò che è giusto. Non importa quello che pensa la gente»
KUALA LUMPUR (Asiablog.it) – Lee Kuan Yew, padre fondatore e architetto della Singapore moderna, è morto di polmonite all’eta di 91 anni. In un comunicato pubblicato sul suo sito web si legge che Lee “è morto serenamente” in ospedale alle 03:18 di lunedi. Lee è stato il più longevo primo ministro nella storia di Singapore, che ha contribuito a trasformare da malsana città portuale ad hub commerciale e finanzario di importanza globale.
Il presidente Barack Obama ha definito Lee un “visionario” ed un “vero gigante della storia.” “Le idee di Lee e la sua conoscienza dell’economica asiatica sono rispettate in tutto il mondo”, ha detto Obama in un comunicato. “Tanti in questa e nelle passate generazioni di leader mondiali hanno cercato il suo consiglio su temi quali governance e sviluppo.” Il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon si è detto “profondamente addolorato” per la morte di Lee, osservando che Singapore sta celebrando quest’anno il suo 50° anniversario dell’indipendenza, e “il suo padre fondatore sarà ricordato come uno dei migliori leader asiatici”. Il governo ha dichiarato sette giorni di lutto nazionale e ha ordinato le bandiere a mezz’asta sugli edifici statali.
STORIA
Nato nel 1923, quando Singapore era ancora parte dell’Impero Britannico, Lee studiò legge all’Università di Cambridge. Tornato in Asia, nel 1954 ha contribuito a fondare il Partito d’Azione Popolare (PAP). Nel 1959 il PAP vince le elezioni e Lee diventa primo ministro di Singapore. Erano anni cruciali. Sempre nel 1959 la Gran Bretagna ha concesso l’autogoverno in tutte le materie, tranne difesa e affari esteri. La premesse per la totale indipendenza, arrivata nel 1963. Fu allora che Lee, credendo che la sua piccola isola non avrebbe potuto sopravvivere da sola, decise di entrare nella Federazione della Malaysia insieme alle altre ex colonie britanniche della penisola malese e della parte settentrionale del Borneo. Solo due anni dopo, la Federazione ha espulso Singapore a causa di differenze ideologiche ed etniche. La leadership malaysiana, di etnia malese, non aveva intenzione di condividere il potere con la leadership singaporense di etnia cinese. In particolar modo, Kuala Lumpur non aveva intenzione di accettare la proposta di Lee Kuan Yew di trattare tutte le etnie malesiane – malesi, cinesi, indiani tamil, gruppi indigeni – in modo uguale, preferendo una controversa politica di affermative action volta a tutelare e promuovere gli interessi dell’etnia malese. Annunciando la rottura, Lee pianse in diretta televisiva. La separazione dalla Malaysia rimase uno dei suoi più grandi rimpianti politici.
In 31 anni di governo, Lee ha trasformato la Singapore coloniale, famosa soprattutto per oppio, prostituzione e gangsterismo, in una moderna, sicura ed efficientissima città d’affari – un miracolo spesso citato come esempio per tutti i Paesi in via di sviluppo, ed in particolare per le nazioni asiatiche.
Nel 1990 Lee, il cui Partito di Azione Popolare controlla Singapore dal 1959, si fece da parte e consegnò la leadership del partito di governo, e dunque del paese, ad una generazione più giovane. Ad ogni modo, anche dopo le dimissioni da primo ministro Lee è rimasto un potente consigliere di stato, e molti abitanti di Singapore, in particolare quelli più anziani, lo hanno visto come una tradizionale figura paterna, saggio e severo.
“Alla fine, la mia più grande soddisfazione nella vita viene dal fatto che ci ho messo anni a raccogliere consensi, e l’ho fatto grazie alla determinazione nel rendere Singapore luogo meritocratico, libero dalla corruzione, e garantire pari opportunità tutti gruppi etnici – e so che questo sistema durerà anche dopo di me,” ha scritto Lee nella sua autobiografia pubblicata nel 2013,“One Man’s View of the World”.
SVILUPPO E PUGNO DI FERRO
Lee è riuscito a creare un governo efficiente ed un sistema con poca corruzione, aliquote fiscali basse per attirare investimenti esteri, ottime scuole e università, ed una città bella, pulita e sicura, costantemente inserita tra i primi posti nelle classifiche delle città più vivibili al mondo.
Uno dei problemi più seri della neonata repubblica di Singapore erano le tenzioni etniche, sfociate nel 1964 in scontri di piazza tra cinesi e malesi che hanno causato almeno 36 morti. Negli anni Sessanta i cittadini della nuova repubblica erano per il 75% di etnia cinese – divisi per dialetto e provenienza regionale tra Hokkien, Teochew, Cantonesi, Hainanesi, Hakka ed altri gruppi minori – e per il restante 25% malesi ed indiani tamil. Per smorzare le tensioni e creare un sentimento di unità nazionale Lee ha promosso la lingua inglese ed il mandarino vietando gli altri dialetti cinesi da scuole, radio e TV. Il governo ha anche cercato di imporre una forma di integrazione etnica stabilendo che gli appartamenti dei condomini pubblici, dove vive l’80 per cento della popolazione, siano assegnati in modo da evitare la creazione di zone abitate solo da un gruppo etnico.
L’altra faccia della medaglia è la Singapore autoritaria, dove vari dissidenti politici sono stati imprigionati senza processo per decenni e dove le frequenti cause per diffamazione contro giornalisti e politici dell’opposizione hanno un effetto raggelante sulla libertà di stampa e di espressione del pensiero. In particolare, il Sediction Act, ereditato dalla legislazione coloniale, viene usato per colpire la stampa e soprattutto per imporre l’autocensura.
Lee ha insistito che limiti rigorosi alla libertà di parola e di protesta sono stati necessari per mantenere la stabilità in un paese multietnico e multireligioso piagato, negli anni Sessanta, da seri disordini etnici e dal pericolo rappresentato dall’opposizione di matrice comunista. E la stabilità, ha aggiunto, è stata necessaria per consentire la crescita ed aumentare gli standard di vita in un Paese con pochissime risorse naturali.
“Ho dovuto fare alcune cose brutte, arrestando dei compagni senza processo”, ha ammesso Lee in un’intervista con il New York Times pubblicata nel settembre 2010. “Non sto dicendo che tutto quello che ho fatto è stato giusto. Ma tutto quello che ho fatto è stato fatto per un scopo onorevole.”
“DECIDIAMO NOI”
Lee ha combattuto ed in buona parte distrutto la criminalità organizzata dell’isola, ma ha anche imposto sanzioni severe per infrazioni minori, una legislatura che ha limitato le libertà personali ma ha contribuito a mantenere uno dei più bassi tassi di criminalità violenta del mondo.
Singapore ha conservato la legislazione coloniale che impone pene corporali per ‘reati’ anche banali e la pena di morte per impiccagione per quelli considerati più gravi. Per pene corporali si intende ad esempio la fustigazione sul deretano con un bastone flessibile lungo 1,2 metri.
La pena di morte è prevista ad esempio per chi commercia o è trovato in possesso di determinate quantità di droga. La legge prevede la pena di morte obbligatoria per chi viene trovato in possesso di una quantità di 15 grammi di eroina, 28 grammi di morfina, o 480 grammi di cannabis. Per chi possiede quantità minori, la pena è facoltativa.
Tra i divieti più bizzarri: l’importazione, possesso e consumo di gomme da masticare, non usare lo sciaquone dopo aver usato il bagno, il tentativo di commettere suicidio, l’omosessualità, la diffusione ed il possesso di materiale pornografico. Il sesso orale è stato decriminalizzato nel 2007, ma solo tra eterosessuali sopra i 16 anni di età. Leggi del genere sono state descritte come forme di micromanaging della vita quotidiana dei cittadini.