La triste realtà dietro ai massaggi degli elefanti sulle spiagge della Thailandia
(Asiablog.it) – Ganesha e Airavata nella mitologia indiana. L’elefante pigmeo del Borneo e quelli nelle bandiere del Siam e del Regno del Laos. Il milione di elefanti del regno Lan Xang e l’avorio a corte degli imperatori della dinastia Ming. I pachidermi utlizzati dai britannici per i lavori pesanti in India, Birmania e Malesia. L’Oriente e gli elefanti, un binomio che sembra naturale.
Ma con l’ingresso di molti Paesi asiatici nella modernità qualcosa è cambiato.
Nella Thailandia contemporanea, ad esempio, gli elefanti non sono solo un simbolo nazionale. Questi animali sono diventati una delle maggiori attrazioni turistiche insieme a spiagge incantate, templi esotici, cibo a buon prezzo e prostituzione.
Il Paese dei Sorrisi dispone di decine di maneggi per elefanti che offrono ai turisti l’opportunità di avvicinarsi ai più grandi animali terrestri e fare cavalcate nella giungla.
Persino nelle città thailandesi è possibile avvistare elefanti. Spesso si tratta di cuccioli che “‘mendicano” per strada. Accompagnati dal loro mahout che li controlla con una catena e un bastone o un gancio, gli elefantini si fanno largo tra automobili, motociclette, smog, clacson e luci. I turisti, come anche gli indigeni, premiano il padrone dell’elefante comprandogli banane e verdure da offrire all’animale. Per poi magari scattare qualche selfie o foto ricordo.
Un altro servizio offerto dall’industria turistica thailandese è il massaggio. E gli elefanti possono imparare a fare anche questo. Con zampe e proboscide possono massaggiare il turista comodamente sdraiato sul suo lettino in spiaggia. Alla modica cifra di poche centinaia di bath.
Quello che molti non sanno è cosa si nasconde dietro a tutto questo: sofferenza, schiavitù, tortura.
Sempre più elefanti selvatici vengono catturati nelle foreste della Birmania e privati della libertà per essere utilizzati nell’industria turistica thailandese. Secondo Traffic, una Ong specializzata nel monitoraggio del commercio della fauna selvatica, questa pratica costituisce una «grave minaccia per la futura sopravvivenza della popolazione selvatica del Paese che conta tra i 4.000 e i 5.000 elefanti asiatici».
Una volta catturati, per domare i pachidermi vengono spesso utilizzati maltrattamenti talmente pesanti che preferirei definire brutali ed ingiustificabili forme di tortura. (Chi non si impressiona facilmente guardi anche il video sotto). La fase di addomesticamento viene definita con un termine che significa “spezzare lo spirito” dell’elefante. Gli elefanti vengono incatenati, bastonati e feriti anche gravemente. Molti maneggi continuano ad impiegare ganci per controllare gli animali, ma anche se gli animali non sono costantemente colpiti con questi ganci, è la paura di essere colpiti che motiva gli animali a lavorare.
D’altronde, gli elefanti non dimenticano.
Non escludo che esistano maneggi “etici”, ma nel dubbio preferirei che a questi animali venisse riconosciuto il sacrosanto diritto a vivere la loro vita nelle foreste, liberi dalle catene e dal timore di essere torturati. Una vita nella natura alla quale appartengono, non nei maneggi o nelle strade, a servizio dell’industria turistica.
Dunque, per coerenza, e al costo di fare a meno della classica foto sull’elefante da mostrare ad amici veri e virtuali, preferisco non visitare questi luoghi per non contribuire con i miei soldi alla cattura e alla tenuta in cattività di questi esseri viventi.
Vi invito a fare altrettanto.
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