«Caro compagno, caro marito, so che la monogamia non è per tutti o forse non è per tutti i periodi della vita. So che ci possono essere dei momenti in cui uno è più fragile – o chissà, più forte – e in cui la curiosità non prende la forma di un altro lavoro, di un hobby, ma di un altro volto e un altro corpo. Perciò ti dico: se vuoi tradirmi, ecco le mie regole.
Credo infatti che, come per ogni altra cosa della vita, si possa farlo in mille modi.
Forse non esiste un tradimento politicamente corretto, però sì, ci può essere un’etichetta del tradimento: detto altrimenti, e meglio, un modo di tradire che possa rispettare l’altro.
No, non sto per dirti che puoi tradirmi solo se riesci a separare sesso e sentimenti (per me è ridicolo, non esiste questa separazione e chi ci riuscisse sarebbe un mostro); no, non ti sto per dire che puoi farlo solo se sporadicamente, una botta e via, anche se certo una vera e propria vita parallela che duri decadi quella no, non potrei immaginarla, farebbe troppo male.
Invece la prima regola che ti do, se vuoi tradirmi, è questa: continua ad amarmi e, quindi, a esserci tutto intero quando ci sei, a condividere con me tutto te stesso, a metterti in gioco ogni momento. La seconda regola, invece, è questa: che io non sappia nulla. Spetta a te la cancellazione di ogni traccia, e tutta l’ansia relativa. Non guarderò il tuo cellulare, non frugherò nei tuoi abiti, ma non c’è dubbio: il lavoro principale lo devi fare tu.
Ed ecco la terza regola, anche questa semplice solo in apparenza: usa il preservativo, perché non voglio essere esposta mentre credo di essere protetta.
Se rispetterai queste tre regole, potremo continuare a stare insieme (credo, anche, senza alcuna borghese ipocrisia). E naturalmente, ma ça va sans dire, no?, se dovesse capitare a me, te lo prometto: anche io, giuro, le rispetterò.»
(Se proprio vuoi tradirmi, almeno ecco le mie regole, di Elisabetta Ambrosi, Il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2015)
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