Abbiamo il diritto di offendere?
Ogni essere umano decente non può che essere inorridito di fronte all’attacco contro la redazione di Parigi della rivista satirica francese Charlie Hebdo.
Non si conoscono ancora i responsabili del massacro di 12 persone, anche se al momento i sospettati sono tre franco-algerini reduci dalla Siria. Dopo aver commesso la strage avrebbero dichiarato che “il profeta [Maometto] è stato vendicato”. Da anni Charlie Hebdo pubblicava vignette satiriche anche sull’Islam e su Maometto.
I musulmani di tutto il mondo hanno condannato con forza l’orribile strage.
Per chi non conoscesse Charlie Hebdo, si tratta di una rivista di ispirazione repubblicana, democratica, libertaria e socialista che pubblica vignette e articoli dissacranti e “offensivi” nei riguardi di potenti di ogni colore politico e ogni tradizione religiosa, e dunque re e presidenti, politici e primi ministri, destra e sinistra, protestanti e cattolici, musulmani ed ebrei, maschi e femmine, occidentali e orientali, alti e bassi, e via dicendo.
Le radici culturali della redazione di Charlie Hebdo affondano nella antica tradizione parigina di umorismo nero, politico e anarchico che rispetta niente e nessuno, anche usando abbondanti dosi di oscenità per ridicolizzare l’autorità, indignare i bigotti e creare dibattito.
Combattono da sempre, dunque, la battaglia per la libertà di stampa e per il diritto alla libera espressione del pensiero, i cui nemici bollano puntualmente come “diritto all’insulto o alla diffamazione”.
Il tema è vecchio come il mondo e vedrà sempre qualcuno schierarsi da una parte e qualcuno dall’altra.
Quello che c’è da capire, a mio avviso, è che non è mai esistita e mai esiterà una società capace di assicurare ai suoi cittadini di non essere insultati, o meglio, di non “sentirsi” insultati da qualcuno o da qualcosa.
C’è sempre stato, e sempre ci sarà, chi si sente offeso per quello che dici o non dici, quello che fai o non fai. Parlo del bigotto che si offende o scandalizza perché credi o non credi in Cristo o Maometto, perché fumi o non fumi, perché vai o non vai in chiesa o in discoteca, perché dici A invece che B, perché parli o stai zitto, perché mangi o non mangi carne di maiale o di vacca o di cane, perché bevi o non bevi qualcosa, perché sei sposato o divorziato, perché hai la gonna o i pantaloni o i capelli troppo lunghi o troppo corti, perché ti copri o non ti copri le gambe, le tette o la testa, e via dicendo. E parlo anche, ovviamente, del progressista che si sente offeso dal bigottismo del bigotto.
Il punto è il seguente: lo stato, la legge e la polizia devono aiutare chi “si sente offeso” ad avere un risarcimento o veder punito il responsabile del “crimine”? Per fare un esempio più concreto, immaginiamo un Pincopallino che si sente offeso perché Tizio ha criticato, ridicolizzato o bestemmiato contro un suo caro parente oppure una certa idea, ideologia, religione, divinità o statua. Pincopallino ha il diritto di essere risarcito da Tizio o di vedere Tizio finire in galera?
La risposta sta in un’altra domanda: in che società vogliamo vivere?
Perché nel primo caso abbiamo società — l’esempio estremo sono paesi come Arabia Saudita o Uganda — dove di fatto la stato multa, mette in galera, impicca o decapita critici o bestemmiatori, imbavaglia la stampa, punisce chi si bacia in pubblico o chi fa sesso nei modi non autorizzati dalla legge, chi mangia determinate cose o chi si veste in un determinato modo perché, secondo le autorità, queste azioni offendono il pudore, il buon costume, la tradizione, la religione o le idee delle persone.
Al contrario, nel secondo tipo di società — ad esempio paesi come Danimarca o Stati Uniti — ridicolizzare persone, re, presidenti, papi, profeti e religioni è di fatto consentito e accade quotidianamente in televisione, sui giornali, su internet, in famiglia o al bar. Inevitabilmente abbiamo chi finisce per offendersi e scandalizzarsi di fronte a determinate dichiarazioni, articoli o vignette pubblicate da certi giornali o da certi siti, o chi si scandalizza del vestiario o dell’atteggiamento o delle battute o delle bestemmie di certe persone.
La differenza è che, in questo secondo modello di società, l’eretico non viene bruciato in piazza e difficilmente qualcuno finisce in galera per le sue opinioni, dichiarazioni o atteggiamenti. Quando Tizio non ama il vestiario o le idee o le battute di Caio, non ha la possibilità di rivolgersi alla polizia: ha semplicemente la scelta di sopportare Caio oppure girarsi dall’altra parte.
La scelta è vostra.
E no, non è vero che nel secondo tipo di società c’è più violenza. Al contrario, è evidente che le società più libere sono anche più tolleranti e pacifiche, mentre quelle meno libere sono meno tolleranti e più piagate da violenza religiosa/ideologica e terrorismo.
Ieri mentre a Parigi morivano 12 persone, solo a Sana’a in Yemen un attentato ne ha uccise almeno 30. E mentre lo Stato Pontificio, sotto la spinta civilizzatrice dell’Illuminismo europeo, ha smesso di decapitare gli eretici nel 18esimo secolo (l’ultimo eretico condannato a morte fu decapitato a Roma nel 1737 ed il Vaticano ha abolito la pena di morte nel 2001), nello “Stato Islamico” o in Iran una “bestemmia” viene ancora punita con la pena di morte.
Concludendo e tornando alla strage di Parigi. Che fare? Tre cose sono fondamentali:
- gli assassini vanno catturati vivi: devono essere portati di fronte alla giustizia ed avere un equo processo. In una società civile si fa così.
- i giornalisti (e chiunque altro) sotto minaccia vanno protetti, perché stanno proteggendo la nostra libertà. Questo è vero anche se i loro articoli e le loro vignette ci fanno schifo.
- una campagna educativa in tutte le scuole europee, affinchè le nuove generazioni siano meno ignoranti, meno intolleranti e meno violente.
«Ho lottato, è molto; ho creduto nella mia vittoria […]. È già qualcosa essere arrivati fin qui […]. Non aver temuto di morire, […] aver preferito coraggiosa morte a vita imbelle». Giordano Bruno
«Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio». Stéphane Charbonnier
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