“ … Steinbeck – che nel 1936 aveva pubblicato In Dubious Battle (La battaglia, 1940) e, nel 1937, Of Mice and Men (Uomini e topi, 1938), entrambi ascritti al filone della letteratura proletaria – aveva avuto qualche difficoltà nel trovare un titolo adatto a un’opera che, sopra ogni cosa, voleva fosse “a truly American book”. Alla fine … aveva scelto The Grapes of Wrath, un’espressione contenuta in una famosa canzone dei tempi della Guerra civile – The Battle Hymn of the Republic di Julia Ward Howe -, che echeggiava il Libro dell’Apocalisse (XIV, 20): “L’angelo lanciò la sua falce sulla terra e vendemmiò la vigna della terra e gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio”.
… Steinbeck insistette con l’editore perché sui risguardi della prima edizione fosse stampato il testo, parole e musica, di quell’inno patriottico. Lo scopo era di evitare che il libro fosse etichettato come “comunista”. Ma fu tutto inutile. E ai componenti di taluni gruppi privati …non fu nemmeno necessario capire quel che stavano leggendo per chiedere di metterlo al bando. … e volonterosi cittadini … lo bruciarono in piazza. Steinbeck stesso finì nel mirino del capo dell’FBl, Edgar J. Hoover, che ordinò di indagare e redigere un rapporto segreto su di lui.” (dalla prefazione di Luigi Sampiero a Furore – Ed. Bompiani 2014).
A fine 2012 mi era capitato di leggere un articolo di Marco Rossari intitolato “Chi spara sui traduttori rischia di uccidere anche bue ed asinello.“
“In libreria aleggiano ancora … i memorabili svarioni perpetrati ai danni di “Furore” di John Steinbeck, a partire dal fatto che — anche per la censura fascista — in italiano la tirata sul fantasma di Tom Joad (che ha ispirato prima una canzone di Woody Guthrie e poi una di Bruce Springsteen) è puf svanita”.
Avevo letto i libri di Steinbeck verso la fine dell’adolescenza e scoprire di essere stato defraudato di una parte significativa di Furore mi aveva colto di sorpresa anche se non alla sprovvista.
Difficile il lavoro del traduttore. Ma un conto è dire quasi la stessa cosa, un altro conto non dire (o meglio: non poterla dire – non dimentichiamoci della censura fascista).
Qualche mese addietro, Bompiani ha pubblicato la nuova traduzione e la soluzione che ho scelto è stata quella di rileggere le due traduzioni in parallelo. Il primo capitolo nel vecchio libro e poi il primo ed il secondo capitolo nel nuovo testo e avanti, il secondo ed il terzo nel vecchio … devo dire, a bi-lettura ultimata, una scelta coinvolgente. Più che le due diverse traduzioni mi sono ritrovato a confrontare la giovanile visione/comprensione, di questo bel libro, con la mia visione/comprensione di oggi e credo che rileggerlo, oggi che viviamo in tempi interessanti, valga la pena.
Tom fece una risatina imbarazzata. “Be’, magari è come diceva Casy, che uno non ha un’anima tutta sua ma solo un pezzo di un’anima grande… e così…”
“E così che, Tom?”
“E così non importa. Perché io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto. Sarò in tutt’ i posti… dappertutto dove ti giri a guardare. Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be’, allora sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì. Capisci? Perdio, sto parlando come Casy. È che lo penso tutt’il tempo. Certe volte è come se lo vedo.”
“Non riesco a capire,” disse Ma’. “Non ci riesco.”
“Manco io,” disse Tom. “È solo roba che m’è venuta di pensare. Ti viene di pensare un sacco quando non ti puoi muovere. Devi tornare al campo, Ma’.”
(Furore di John Steinbek, nella traduzione di Sergio Claudio Perroni – Ed. Bompiani -in grassetto la parte che mancava nella traduzione di Carlo Coardi)
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