(Asiablog.it) — «Dopo Lenin», scriveva Enrico Berlinguer nella prefazione agli scritti del dirigente vietnamita, «nessun altro rivoluzionario ha avuto la sorte di Ho Chi Minh di esprimere ad un tempo, e al livello più alto e indiscusso, volontà, speranze e interessi di un popolo e di una nazione e, insieme, delle forze rivoluzionarie e democratiche del mondo intero… Ho Chi Minh ha diretto la lotta vittoriosa del popolo vietnamita contro il colonialismo giapponese e francese, per assurgere infine, nella guerra contro l’aggressione americana, a simbolo delle nuove generazioni e delle forze rivoluzionarie del mondo intero.»
«La rivoluzione,» continua Berlinguer, «per Ho Chi Minh come per Lenin, è una scienza ed un’arte. Esattamente il contrario cioè dell’improvvisazione, della riduzione del processo rivoluzionario a uno schema precostituito. Si rifletta soprattutto, a questo proposito, sul nesso sempre presente in Ho Chi Minh e nel partito vietnamita fra lotta armata, lotta politica e iniziativa diplomatica».
Ho Chi Minh ed Enrico Berlinguer
Sul finire del 1966 il segretario del Partito Comunista Italiano, Luigi Longo, prospettò addirittura l’offerta di una solidarietà armata volontariale sul modello delle Brigate Internazionali nella guerra civile spagnola. Un’idea che non ebbe seguito per il “riconoscente rifiuto” di Hanoi. In questo ambito il P.C.I. inviò ad Ha Noi una delegazione guidata da Enrico Berlinguer, come segno di sostegno alla lotta del popolo vietnamita.
Il rivoluzionario che i vietnamiti chiamavano famigliarmente “Bac Ho”, Zio Ho, nacque il 19 maggio 1890 nel villaggio di Hoang Tru, nella provincia di Nghe An, Vietnam centro-settentrionale. Gli venne dato il nome di Nguyễn Sinh Cung.
Come da tradizione vietnamita, all’età di dieci anni cambiò il nome e fu chiamato Nguyễn Tất Thành (Nguyen che sarà vittorioso). Un nome del destino, Ho sconfisse sia il colonialismo francese che l’imperialismo americano. Così si rivolgeva a costoro:
«Potete uccidere dieci miei uomini per ognuno dei vostri che io uccido. Ma anche così, voi perderete e io vincerò.»
Emigrato in Francia, si fece chiamare Nguyễn Ái Quốc (Nguyen il patriota). Dopo essersi fatto chiamare anche Ly Thuy. Solo nel 1938, in Cina, prese il nome definitivo di Hồ Chí Minh.
Ha Noi, la “città al di là dl fiume”, quello rosso, è un simbolo e lo è sempre stata. Prima dell’impero della dinastia Le, poi del dominio coloniale francese nel Tonkino, infine della lotta contro l’imperialismo americano. Ora è la capitale del Vietnam. Una città con molto verde, dei parchi e dei viali alberati, ed il colore chiaro dei tanti laghi, dove, ora, coesistono architetture millenarie – di quando la città si chiamava Than Long, la città del dragone – con le costruzioni coloniali ed i recenti grattacieli.
A fine autunno, inizio inverno, già appaiono giornate di crachin, piogerellina e nebbia che ai francesi ricorda la Bretagna o la Normandia e a me i giorni di garúa a Lima. Questo clima dona bellezza alla città.
Ha Noi, sotto la pioggia
Il mausoleo di Ho Chi Minh si trova vicino al più grande lago della città, Ho Thay, Lago dell’Ovest o Grande Lago. In questa mattinata di gennaio, il lago è avvolto da acqua e nuvole che non alleggeriscono la pesante struttura architettonica e ne accentuano il carattere funerario. Il grigio marmo di Da Nang è ancora più grigio. Questo monumento funebre si trova in piazza Ba Dinh dove il 2 settembre 1945 Ho Chi Minh lesse la Dichiarazione di Indipendenza della Repubblica Democratica del Vietnam.
Il Mausoleo
Ho in tasca una fotocopia della la versione ufficiale del testamento, poche pagine datate 10 maggio 1969. Dove tra l’altro si legge:
Sopravvivano i nostri fiumi, le nostre montagne, i nostri uomini. Dopo la vittoria costruiremo il nostro paese più bello di oggi. Quali che siano le difficoltà e le privazioni, il nostro popolo vincerà sicuramente (…) La nostra patria sarà riunificata. I nostri compatrioti del Nord e del Sud saranno riuniti sotto lo stesso tetto. Il nostro paese avrà l’ insigne onore di essere una piccola nazione che con una eroica lotta ha vinto (…) e ha apportato un degno contributo al movimento di liberazione nazionale.
Sono parole che paiono evocare i proclami di Tran Hung-dao ai tempi della guerra contro i mongoli, oppure i versi scritti da Nguyen Trai per celebrare la vittoria sugli invasori Ming. Ho Chi Minh aveva chiesto che dopo la sua morte le sue ceneri fossero messe in tre urne funerarie ed interrate in cima a tre colline: una al nord, una al centro ed una al sud del paese per simbolizzare l’unificazione del Vietnam. Il Partito preferì conservare le sue spoglie in un sarcofago di vetro.
La fila dei visitatori è lunga, turisti e vietamiti, per vedere il corpo del padre della patria. Ma tutto scorre velocemente. Non entro perché non voglio che Ho Chi Minh imbalsamato ed irriconoscibile rovini l’immagine che ho di lui, ma è anche la mia maniera di rispettare il suo desiderio.
Vicino al mausoleo vi è un’iscrizione che dice NƯỚC CỘNG HÒA XÃ HỘI CHỦ NGHĨA VIỆT NAM MUÔN NĂM, la cui traduzione è Repubblica Socialista del VietNam, per sempre. Più che se conservare il corpo imbalsamato dello “Zio Ho” oppure cremarlo, questa, la repubblica socialista del Vietnam, è la vera volontà di Ho Chi Minh, non facile da rispettare e mettere in atto.
Ho Chi Minh comunista e rivoluzionario fu anche poeta. In carcere pensava che anche in galera e con le braccia e le gambe legate nessuno può impedirvi di ascoltare il canto di un uccello, di aspirare il profumo di un fiore. Ascoltare le voci della natura, respirarne il profumo conforta, allevia la solitudine, rende meno pesante la disumana condizione del prigioniero. La vista del dolore degli uomini diventa stimolo all’azione e occasione di poesia.
Il suo Diario dal carcere è una raccolta di poesie in stile cinese classico.
Ho Chi Minh, l’indomabile capo della rivoluzione vietnamita, trova nell’amore per la Natura forza e conforto per resistere nei lunghi mesi della prigionia, per alimentare un’immensa fede nella vita e nella vittoria finale.
La rosa
La rosa s’apre, la rosa
appassisce senza sapere
quello che fa;
Basta un profumo
di rosa smarrito in un carcere
perché nel cuore
del carcerato
urlino tutte le ingiustizie
del mondo.
- Ho Chi Minh, Colui che Porta la Luce - 08/09/2014