Era bianca la maglia del Brasile, ma cessò di essere bianca da quando nel Mondiale del 1950 aveva dimostrato che quel colore portava male.
Duecentomila statue di pietra nello stadio Maracanã, la partita finale si era conclusa, l’Uruguay era campione del mondo, e il pubblico non si muoveva.
In campo deambulavano, ancora, alcuni giocatori.
I due migliori, Obdulio e Zizinho, s’incrociarono.
S’incrociarono, si guardarono.
Erano molto diversi. Obdulio, il vincitore, era di ferro.
Zizinho, il vinto, era fatto di musica. Ma erano anche molto simili: tutti e due avevano giocato feriti quasi tutto il campionato, uno con la caviglia infiammata, l’altro con un ginocchio gonfio, e da nessuno dei due si era udito un lamento.
Alla fine della partita non sapevano se darsi un pugno o abbracciarsi.
Anni dopo, domandai a Obdulio: «Ti vedi ancora con Zizinho?»
«Si, ogni tanto, chiudiamo gli occhi e ci vediamo.»
(Il mio caro nemico – I figli dei giorni, Eduardo Galeano –Ed. Sperling & Kupfer)
fonte immagine: mondiali
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