Il lavoro è una necessità umana, un bisogno non solo economico ma sociale, non per nulla rientra negli interessi nazionali di tutti gli stati moderni. Viene trattato dal capitalismo, dal marxismo e da tutti i sistemi politici intermedi o mediani, come fattore di base per lo sviluppo.
“… osserviamo più attentamente cosa accade nello scambio di mercato tra il venditore e il compratore della forza lavoro …
Una merce di mercato specifica – il lavoratore che vende la sua forza lavoro – è il sintomo, l’eccezione necessaria che viola le regole ideali del mercato sotto ogni aspetto … Secondo quella che gli economisti chiamano <<la legge del prezzo unico>>, prodotti identici messi sul mercato allo stesso tempo, nello stesso luogo, con i prezzi ben in vista, avranno lo stesso prezzo. La conseguenza fondamentale di questa legge è che è il prezzo più basso che viene universalizzato: ad esempio, se ci sono 19 lavoratori che fanno domanda per 18 lavori identici e uno di loro accetta di lavorare per solo 40 dollari al giorno, allora tutti dovranno lavorare per questa somma. Lo stesso dovrebbe valere anche nella direzione opposta, ma dal momento che, se escludiamo le eccezioni, esiste di norma un surplus di lavoratori rispetto ai lavori, questa <<legge del prezzo unico>> mette i lavoratori in una posizione di grande svantaggio strutturale. Qui sta il ruolo dell’esercito di riserva dei disoccupati: anche solo una piccola percentuale di disoccupati può abbassare i salari in modo considerevole, perché la loro disponibilità a lavorare per salari più bassi costituisce una minaccia per tutti quelli che hanno un lavoro.” (Vivere alla fine dei tempi – Slavoj Žižek –Ed. Ponte alle Grazie)
“… quando si vende un prodotto si conserva integra la persona. Ma quando si vende il lavoro, ci si vende interamente, perdendo i diritti di uomo libero e diventando vassalli di stabilimenti elefantiaci di un’aristocrazia danarosa che minaccia di annichilire chiunque metta in discussione il loro diritto a schiavizzare ed opprimere. Coloro che lavorano nelle fabbriche dovrebbero possederle, non avere lo stesso status di macchinari governati da despoti privati che impiantano i principi monarchici su suolo democratico mentre ricacciano indietro la libertà ed i diritti, la civiltà, la salute, la morale e l’intellettualità nel nuovo feudalesimo commerciale>>. Solo in caso che siate confusi, questo accadeva molto prima del Marxismo, sono lavoratori americani che parlano delle loro esperienze negli anni ’40 dell’Ottocento.” (Democrazia ed istruzione – Noam Chomsky – Ed. Edup)
A sentire Chomsky non è da ieri che l’uomo si pone in una posizione critica nei confronti del mercato del lavoro ed un’ironica osservazione di Karl Marx al riguardo, sembra raccogliere l’osservazione degli operai statunitensi di inizio ottocento ed anticipare i tempi difficili di oggi per tanti lavoratori:
“…la fisionomia delle nostre dramatis personae sembra già cambiarsi in qualche cosa. L’antico possessore del denaro va avanti come capitalista, il possessore di forza-lavoro lo segue come suo lavoratore, l’uno sorridente con aria d’importanza e tutto affaccendato, l’altro timido, restio, come qualcuno che abbia portato al mercato la propria pelle e non abbia ormai da aspettarsi altro che la … conciatura” (Il Capitale)
Forse ha ragione Polanyi, l’economia umana non è un attività isolata o isolabile dal resto delle attività umane e quindi il mercato è privo delle oggi tanto declamate virtù auto regolatrici. Quando la merce è il nostro lavoro, se non il nostro corpo, la questione si complica, succede da sempre ed in tutti gli aspetti del vivere.
“Secondo la visione del senso comune, lo stato e il mercato torreggiano sopra ogni altra cosa come principi diametralmente opposti. La realtà storica rivela, nondimeno, che sono nati assieme e sono sempre stati intrecciati tra loro. Quel che queste tesi erronee hanno in comune è che tendono a ridurre le relazioni umane a scambi, come se i nostri legami con la società, addirittura con l’universo, possano essere descritti nei termini degli affari economici. Questo ci porta a un’altra domanda: se al centro non c’è lo scambio, allora che cosa c’è? … Tutto ciò prepara la strada a un nuovo modo di affrontare la storia degli ultimi cinquemila anni, dominati da imperi capitalisti, e ci consente perlomeno di cominciare a chiederci quale sia davvero la posta in gioco ai giorni nostri.
Per molto tempo c’è stato un generale consenso nel mondo intellettuale sul fatto che non potessimo più porci «grandi questioni». Sembra invece che non abbiamo altra scelta che mettere sul tavolo queste domande irrisolte. (Debito. I primi 5000 anni – David Graeber – Ed. Il Saggiatore)
L’essere umano è da sempre un essere sociale e tutti noi ricchi o poveri, credenti o atei, capitalisti o salariati, economisti o commercianti, politici o sacerdoti, onesti o disonesti da sempre impegnati a studiare, ipotizzare, creare, suggerire o imporre metodi e regole per e sul vivere. Sì, quando di mezzo c’è l’uomo con la sua coscienza, la faccenda si complica sempre.
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