Pare che ad est di Bisanzio ci siano tre specie di ape: apis dorsata, apis mellifera ed apis cerana. Non mi addentro oltre questa materia a me sconosciuta ma, ad occhio, direi che le api trattate in questo post siano apis cerana (ma, del caso, si accettano smentite). D’altra parte non c’è possibilità di interpellare direttamente gli animaletti che gli indigeni chiamano phûng — ผึ้ง.
Saccheggiare favi, la casa-magazzino-asilo nido delle api, credo sia una delle pratiche umane tra le più antiche. Dobbiamo ringraziare i nostri primi antenati che senza alcuna cognizione iniziale, ma solo per fame, da buoni cacciatori-raccoglitori hanno sfidato i nidi di tanti insetti sino ad arrivare al semi addomesticamento delle api che oggi abitano le nostre arnie.
Tutto questo per poter mangiare il vomito delle api, comunemente chiamato miele, che i thailandesi chiamano nam phûng — น้ำผึ้ง (liquido di ape).
Il comune miele selvatico, venduto solitamente in bottiglia, ha una viscosità simile al nostro miele di acacia e non cristallizza con l’invecchiamento né a basse temperature.
Ma in questo caso ci mangiamo tutto il favo (rang phûng — รังผึ้ง) dopo una rapidissima arrostita che, oltre ad eliminare le api che ancora lo abitano, cucina le larve ed ammorbidisce la struttura, che verrà masticata e succhiata. Insomma: trattata come un osso cartilagineo.
Il miele cola abbondante ma ci si nutre anche di propoli, pappa reale…
… cera e polline per non dire delle larve. Buon appetito!
(tutte le foto tiziano matteucci)
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