Io scrivo gratuitamente le mie stupidaggini in questo Blog, lo faccio per motivi che non starò qui ad elencare. Ma, volendo analizzare il mio comportamento, potrei utilizzare concetti esposti da Karl Polanyi, sociologo, filosofo, economista ed antropologo attivo nella prima metà del secolo scorso.
L’essere umano è da sempre un essere sociale. Nelle società primitive l’economia umana era immersa nei rapporti sociali. I cosiddetti motivi economici si generano nel contesto della vita sociale. Il sistema economico è una funzione dell’organizzazione sociale. Nelle società primitive l’uomo non agisce per salvaguardare il suo interesse individuale nel possesso di beni materiali agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale. Le passioni umane, buone o cattive, sono semplicemente dirette a fini non economici. Per Polanyi, l’economia non è un attività isolata o isolabile dal resto delle attività umane e quindi il mercato è privo delle oggi tanto declamate virtù auto regolatrici.
Il pensiero di Karl Polanyi, che ho sopra riportato sinteticamente, viene esposto ne Il debito del vivente – Elettra Stimilli – Ed. Quodlibet -, “libro che si propone di indagare le radici di un fenomeno che investe l’esistenza di ciascuno tanto dal punto di vista individuale che da quello collettivo: l’essere in difetto, in colpa, in debito senza che dipenda da noi, quasi si trattasse di uno stato preliminare che nessun tipo di scelta consapevole è in grado di emendare. Si ha l’impressione che ogni forma di vita si configuri come una risposta a tale condizione, sia quella che si dedica incondizionatamente al godimento e al consumo, sia quella che sceglie i percorsi del rigore ascetico. Che l’economia (mercati, investitori, forze produttive ecc.) sottragga ai singoli e alle comunità il controllo del proprio destino, deriva probabilmente da una malattia radicale dell’umano le cui origini di ordine materiale non possono che essere al tempo stesso declinate sul piano culturale, ovvero filosofico e religioso. Riconoscere queste origini sotto le varie maschere che hanno indossato nel corso della storia occidentale è la sfida che qui si tenta di affrontare, con la speranza di individuare almeno qualche spunto di guarigione.” (dalla quarta di copertina)
Il mio scrivere, quindi, è un gesto di socialità che nulla ha a che fare con la moderna teoria economica di mercato o, se vogliamo monetizzare i miei costi, il mio è uno scambio, una delle funzionalità dell’economia umana.
“Non tutto, per fortuna [è] ancora esclusivamente classificato in termini di acquisto e di vendita [perché] non c’è solo una morale mercantile [ma] esistono persone e classi che conservano i costumi di un tempo, ai quali ci uniformiamo quasi tutti, almeno in certi periodi dell’anno o in certe occasioni … indicativo resta il fatto che il dono, come forma arcaica dello scambio sia, in definitiva, escluso dall’orizzonte teorico della modernità” ( Il debito del vivente – Elettra Stimilli – Ed. Quodlibet)
Nel presentare il libro di David Graeber (Debito. I primi 5000 anni) ho scritto di come appare evidente che l’attuale crisi non sia esclusivamente economica ma anche, se non soprattutto, morale. Ed anche di come l’evento, di cui oggi siamo più o meno partecipi, non sia una novità assoluta. Ne riparliamo.
fonte immagine: giudy
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