“E il Primo maggio giunse. Quel giorno, in tutti gli Stati Uniti scioperarono 350.000 operai in 11.562 stabilimenti. Solo a Chicago gli scioperanti furono 40.000 e in 80.000 scesero in piazza.”
Poi accaddero i fatti di Haymarket.
“L’American Federation of Labor mandò a Parigi un delegato al Congresso internazionale del lavoro del 14 luglio 1889 (per celebrare il centenario della presa della Bastiglia) perché proponesse il Primo maggio come festa mondiale del lavoro e in ricordo dei martiri di Haymarket. Da allora il Primo maggio è festeggiato ovunque come festa del lavoro, tranne che negli Usa (e, dopo Margaret Thatcher, in Inghilterra); lo stesso Adolf Hitler, nel primo anno di potere, lasciò che fosse festeggiato in Germania, il giorno prima di mettere fuori legge tutti i sindacati, il 2 maggio 1933.” (Marco D’Eramo, Il maiale e il grattacielo, Ed. Feltrinelli)
Anche in Italia, come nella Germania nazista, la festività fu soppressa durante il ventennio fascista. Si festeggiava l’autarchica Festa del lavoro italiano il 21 aprile. La Festa dei Lavoratori fu ripristinata subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e il Primo maggio del 1945 fu festa grande.
Di alcune vicende non bisogna mai perdere la memoria. Soprattutto oggi che la sofferenza nel campo del lavoro è a livelli allarmanti. Giovani senza lavoro, senza futuro, senza sogni. Lavoratori gettati nell’inferno del licenziamento, molti dei quali sostituiti da lavoratori sottopagati, sfruttati e senza tutele. Lavoratori nel purgatorio della cassa integrazione e del precariato. Lavoratori nel cappio di burocrazie e tassazioni a livelli insostenibili e figlie di sistemi che penalizzano l’onestà. Tutto questo in nome dell’utile di una qualche incorporea società per azioni e non certo a favore della dignità umana.
Per tutte queste ragioni il Primo Maggio è oggi una data fondamentale per chi ha lavoro, per chi vorrebbe averlo, e per chiunque intende costruire un mondo di uomini divisi nell’opera, ma uniti nel dovere ed uguali nei diritti.
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