BANGKOK (Asiablog) – E’ ancora altissima la tensione a Bangkok, dove decine di migliaia di manifestanti anti-governativi hanno occupato parti del centro urbano da quattro giorni. Il blocco della capitale arriva dopo due mesi di agitazioni caratterizzate da innumerevoli cortei, occupazioni di ministeri ed edifici pubblici, scontri di piazza e 8 morti tra poliziotti, manifestanti pro-governativi ed anti-governativi.
CRISI INFINITA – La crisi politica di questi giorni è solo l’ultimo capitolo di un conflitto lungo nove anni che vede la borghesia ultra-monarchica di Bangkok contrapposta alle masse del centro, nord e nord-est. Il partito di maggioranza Pheu Thai è sostenuto con forza da queste ultime, che apprezzano le sue politiche a favore dei ceti meno abbienti, misure bollate come “populiste” dalle opposizioni, che le dipingono come un mero sperpero di denaro pubblico volto a ‘comprare’ il sostegno degli elettori delle province. La premier Yingluck Shinawatra è anche accusata di essere un burattino nelle mani del fratello, Thaksin Shinawatra, magnate delle telecomunicazioni ed ex primo ministro deposto dal colpo di stato militare del 2006. L’imprenditore di Chiang Mai si trova in esilio a Dubai in seguito ad una condanna al carcere in contumacia per abuso di potere nel 2008, pena che egli considera politicamente motivata. Nonostante questo, Thaksin incombe ancora pesantemente sulla politica thailandese, rimanendo la forza dominante dietro all’amministrazione di sua sorella.
CONTRO LA DEMOCRAZIA – La rivolta anti-governativa mira a forzare le dimissioni del primo ministro, sospendere la democrazia ed istallare un “Consiglio popolare.” Questo Consiglio, un organismo non eletto composto da 400 uomini nominati dai leader della protesta e/o da non specificate alte istituzioni ed organizzazioni professionali, dovrebbe nascere con l’obiettivo di implementare riforme, a partire dalla legge elettorale, per impedire al Pheu Thai di rivincere le elezioni dopo il periodo di “sospensione della democrazia.”
BANGKOK BLOCCATA – Nonostante i gravi disagi causati ai cittadini, l’occupazione di una parte del centro della capitale, una città di circa 1o milioni di persone, per il momento non ha incontrato alcuna resistenza da parte delle forze dell’ordine, alle quali il governo ha chiesto di evitare qualunque forma di violenza. “Vogliamo evitare scontri con i manifestanti,” ha detto il ministro degli Esteri, Surapong Tovichakchaikul, nella giornata di domenica. “In alcune occasioni li lasceremo anche entrare negli edifici governativi.” L’immobilismo del governo e della polizia ha lo scopo di non provocare l’intervento dell’esercito, istituzione che non risponde al governo e che in caso di gravi incidenti potrebbe finire per rimuovere il governo Yingluck e prendere il potere per avviare una dittatura militare di transizione come fatto recentemente nel 2006-2007.
Al momento sette grandi incroci che normalmente pullulano di automobili, autobus, taxi e camion sono stati bloccati, ma treni, metropolitana e traghetti fluviali continuano ad operare, la maggior parte dei negozi rimangono aperti, e moto e biciclette solcano le strade semi-vuote. L’atmosfera è generalmente festosa e tranquilla. Mentre sui palchi montati dai manifestanti i comizi dei leader della protesta si alternano a concerti e spettacoli, decine di migliaia di manifestanti anti-thaksiniani, in larga parte ultra-nazionalisti ed ultra-monarchici, si danno da fare con fischietti e bandiere thailandesi, i simboli della protesta, o semplicemente posano per qualche foto ricordo. La notte, però, è tutta un’altra storia, e si sono registrati incidenti anche gravi, con risse, sparatorie e attentati con ordigni esplosivi. Un ordigno di modeste dimensioni è stato lanciato contro una delle ville di Abhisit Vejjajiva, ex segretario del partito filo-militare e conservatore Phak Prajathipat (“Partito Democratico”). L’attacco, che ha provocato lievi danni materiali all’edificio, è avvenuto quando la famiglia dell’ex premier – il cui partito boicotterà le elezioni del 2 febbraio – non era in casa.
“Non mi chiedete quanto tempo durerà l’occupazione,” ha detto il leader di protesta Suthep Thaugsuban, controverso politico di lungo corso del Phak Prajathipat, in un discorso ai sostenitori trasmesso dal canale televisivo anti-governativo BlueSky. ” Non ci fermeremo finché non otterremo quanto chiediamo.”
SI VOTA IL 2 FEBBRAIO – A dicembre, nel tentativo di porre fine ai disordini, dopo aver tentato invano di aprire un tavolo di dialogo con i leader della protesta, Yingluck ha sciogliere le camere. Le elezioni anticipate si svolgeranno il 2 febbraio, ma Suthep ed il principale partito di opposizione non ci saranno. Hanno deciso di boicottare il voto, che il partito Pheu Thai del premier vincerà con ogni probabilità, ed avrebbe probabilmente vinto, come ha sempre fatto negli ultimi 13 anni, anche se il Phak Prajathipat avesse partecipato. Ma il boicottaggio del voto di febbraio da parte del principale partito di opposizione significa che il voto rischia di essere successivamente invalidato, come già avvenuto nel 2006, e dunque che la crisi è destinata a continuare. Per cercare di trovare una via d’uscita da questo stallo politico, mercoledì 15 gennaio Yingluck ha invitato i leader della protesta e di tutti i partiti politici ad una riunione il per discutere la possibilità di rinviare il voto, in modo di trovare una data condivisa e dare la possibilità al Phak Prajathipat di organizzarsi e partecipare. Si sono presentati i rappresentanti una trentina di partiti, ma non i leader della protesta, che continuano a rifiutare categoricamente ogni dialogo col governo e ad opporsi a qualsiasi proposta di tornare al voto. Il loro obiettivo rimane quello di rimuovere il partito Pheu Thai dalle istituzioni, sospendere la democrazia e affidare il paese ad un “Consiglio del popolo.”
RISCHIO CAOS E GOLPE – Lo situazione rischia di peggiorare. In un comizio svoltosi nella giornata di martedì, Suthep ha minacciato di mandare i suoi uomini a “catturare” il premier e gli altri ministri accerchiando le loro residenze e tagliando loro acqua ed elettricità. Nel frattempo, per chiedere il rispetto della democrazia e delle elezioni, i gruppi che si oppongono a Suthep hanno fatto partire una serie di contro-manifestazioni in più di 40 province del paese, evitando per il momento ogni attività nella capitale per evitare di scontrarsi con i manifestanti antigovernativi. Crescono però i timori di possibili incidenti fomentati da individui senza una chiara matrice allo scopo di destabilizzare ulteriormente la situazione in modo da favorire l’intervento del potentissimo Esercito Reale Thailandese, che a sua volta ha fatto sapere che riterrà il Governo responsabile di qualsiasi violenza, da qualunque parte essa provenga. Le Camicie Rosse pro-governative, dal canto loro, hanno fatto sapere di essere pronte a combattere contro un nuovo colpo di stato.
Nel frattempo gli arrivi turistici nel Regno stanno diminuendo drasticamente, anche per i timori di un ripetersi delle scene del 2008, quando i manifestanti occuparono i due aeroporti di Bangkok, bloccando il traffico aereo del cosiddetto Paese dei Sorrisi per otto giorni. Un grave colpo per una nazione dove il turismo crea il 7 per cento del Pil. Il clima di instabilità, specie se prolungato, rischia anche di danneggiare il flusso di investimenti stranieri.