Atmosfera insurrezionale nel Regno della Thailandia, con decine di migliaia di manifestanti antigovernativi che continuano a sfilare per la capitale Bangkok. Occupati edifici pubblici e ministeri per paralizzare il governo e defenestrare la premier Yingluck Shinawatra. Manifestazioni anche in altre 24 città, incluse le località turistiche di Phuket e Krabi. I leader della protesta vogliono “sospendere la democrazia.” Si teme una nuova svolta autoritaria
BANGKOK (Asiablog) – Le manifestazioni e le proteste di piazza in Thailandia contro il governo della premier Yingluck Shinawatra, iniziate un anno fa, riprese ad agosto e continuate il mese scorso, negli ultimi giorni si sono intensificate e allargate ad altre città. Il pretesto della protesta è stato fornito dal tentativo da parte del governo di far passare un disegno di legge di amnistia che, secondo alcuni critici, avrebbe potuto favorire il ritorno in patria dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, al momento in esilio all’estero dopo essere stato rovesciato dai militari nel 2006 e condannato per corruzione negli anni seguenti. La legge è stata approvata in Assemblea ma è stata poi bocciata dal Senato. Nonostante questa vittoria, l’opposizione anti-governativa ha deciso di continuare la protesta, modificandone l’obiettivo, che ora è niente di meno che costringere alle dimissioni del Governo del Primo Ministro Yingluck, che governa grazie al trionfo nelle elezioni del 2011.
CHI PROTESTA –I manifestanti appartengono in buona parte alla
borghesia e all’aristocrazia della capitale. Nonostante nelle ultime settimane la protesta abbia adottato il colore nero in segno di lutto per la morte del Patriarca Supremo, i manifestanti continuano ad essere definiti Camicie Gialle per via della loro ideologia ultra-monarchica e conservatrice che li porta a scendere in strada con i simboli del sovrano regnante: quadri, immagini e santini raffiguranti il monarca, ma anche bandiere, magliette ed altri vessilli con il colore reale, il giallo. Il leader del movimento anti-governativo, Suthep Thaugsuban, è un controverso politico di vecchia data, tra i principali responsabili della sanguinosa repressione militare contro le Camicie Rosse nel 2010, vicende per le quali dovrà affrontare un processo per omicidio. Nonostante martedì una corte di Bangkok abbia emesso un mandato d’arresto contro di lui con l’accusa di invasione di proprietà del governo e violazione della pace, per il momento Suthep rimane a piede libero e continua a guidare i manifestanti contro gli edifici pubblici.
ALL’ASSALTO DEI MINISTERI – Per creare il caos e costringere alle dimissioni la premier Yingluck, accusata di essere un fantoccio del fratello, le Camicie Gialle stanno cercando di occupare o far evacuare i Ministeri e gli edifici pubblici a Bangkok. Lunedi avevano preso d’assalto ed occupato il Ministero delle Finanze e quello degli Affari Esteri. Nella giornate di martedì e mercoledì i due ministeri sono stati evacuati al fine di concentrare le azioni contro i ministeri degli Interni, Agricoltura, Trasporti, e Sport e Turismo, che sono stati assediati ma non occupati. Nella mattinata di giovedì, mentre la premier Yingluck superava comodamente il voto di sfiducia in parlamento grazie al sostegno della sua amplia maggioranza, i manifestanti anti-governativi si sono diretti verso i ministeri della Difesa e dell’Istruzione. In Thailandia, la storia si ripete troppo spesso. Già nel 2008, gli stessi manifestanti Gialli erano scesi in piazza contro un altro governo ed avevano finito per occupare entrambi gli aeroporti della capitale thailandese, chiudendo di fatto il paese al mondo esterno per una settimana.
IL DIAVOLO SI CHIAMA THAKSIN – I manifestanti in piazza e il “Partito Democratico” in Parlamento sostengono che il governo debba andarsene perchè corrotto, colluso con paesi stranieri (in particolare la Cambogia di Hun Sen), e guidato da Thaksin Shinawatra, che tirerebbe le corde del consiglio dei ministri dall’estero, via skype. La rovina del paese, secondo l’opposizione, è proprio Thaksin, un ex poliziotto diventato un miliardario magnate delle telecomunicazioni e poi trasformatosi nel Primo Ministro più longevo, più amato, e più odiato della storia thailandese. Thaksin il populista, popolare tra i più svantaggiati ma odiato dalla borghesia e dall’aristocrazia della capitale, ha governato dal 2001 al 2006 praticando un’economia capitalista corretta dall’introduzione di importanti meccanismi di welfare state all’europea, in precedenza quasi del tutto assenti nel Regno della Thailandia. In netto contrasto rispetto ai suoi predecessori, Thaksin ha dunque coniugato i vincoli dell’economia globale con una politica sociale a favore del mondo rurale e del proletariato urbano. Nonostante i risultati positivi riconosciutigli anche dalle opposizioni, Thaksin perse rapidamente il favore dei ceti medi della capitale quando cominciò ad inimicarsi il potentissimo establishment monarchico-militare, dal quale viene accusato di avere tendenze repubblicane, un’opinione che in Thailandia equivale al reato di alto tradimento nei paesi occidentali, o alla blasfemia nelle teocrazie islamiche.
ODIO DI CLASSE E RISCHIO DI VIOLENZE – “Non è che non ci piace Thaksin, lo odiamo proprio,” ha proclamato una signora di mezza età intervistata dalla televisione thailandese. La signora, che esibiva i simboli della protesta – il nero in segno di lutto per la morte del patriarca, il giallo monarchico, e il tricolore nazionale – che poi ricalcano solamente i tre pilastri dell’ideologia dominante (Religione, Monarchia, e Nazionalismo), ha semplicemente espresso il sentimento dominante delle Camicie Gialle: l’odio per un uomo e per tutto quello che rappresenta. Detto in modo semplicistico, ma non troppo lontano dalla realtà, la Thailandia è oggi spaccata in due. Da una parte le province più povere, che rimangono fortemente a favore del governo e del Thaksinismo, e dall’altra l’élite urbana di Bangkok, che ha deciso di difendere interessi di parte e di rinchiudersi nelle proprie grettezze ideologiche, quali il fanatismo ultra monarchico, un antistorico conservatorismo sociale, e un malcelato odio di classe verso i ‘bufali’ delle campagne.
“Siamo ricchi e i nostri figli studiano a Bangkok,” ha detto Nonthapan Suwananon alla Reuters, “loro [i simpatizzanti di Thaksin] sono poveri, ignoranti, e sono stati comprati da Thaksin.”
In questo contesto, il rischio che questi due mondi opposti finiscano per scontrarsi violentemente è sempre possibile: mentre l’opposizione al governo di Bangkok rimane in piazza, le Camicie Rosse formate dai simpatizzanti e sostenitori del clan Shinawatra si sono riunite in uno stadio della città per denunciare il tentativo dei Gialli di far cadere un governo eletto democraticamente. Nel 2010, furono proprio le Camicie Rosse ad occupare per due mesi il centro di Bangkok per costringere alle dimissioni il precedente governo, salito al potere non tramite elezioni ma per mezzo di un ribaltone favorito dai generali dell’esercito, e chiedere nuove elezioni. Il governo di allora, guidato dal “Partito Democratico” del Primo Ministro Abhisit Vejjajiva e dal vice-primo ministro Suthep, oggi capo della protesta, utilizzò l’esercito per cacciare i rossi dalle strade, uccidendo almeno 90 civili disarmati e due reporter stranieri, tra i quali l’italiano Fabio Polenghi.
COSA VOGLIONO – I sostenitori delle proteste di questi giorni dicono che il raid dei ministeri è un tentativo da parte di un elettorato esasperato di ottenere un sistema politico più pulito e più etico, e quindi di dare al paese un governo migliore. Ma un numero crescente di osservatori descrivono queste azioni come una mossa disperata per prendere il potere da parte di una minoranza non in grado di vincere le elezioni .
“Tutto questo non ha nulla a che fare con le riforme,” ha detto Prayong Doklumyai, noto attivista sociale, in un’intervista al Bangkok Post. “E una pura e semplice battaglia per il potere politico.”
D’altronde, Suthep ed altri leader della protesta hanno detto chiaro e tondo che non vogliono nuove elezioni, in quanto l’opposizione guidata dal Partito Democratico molto probabilmente le perderebbe per l’ennesima volta. Di fronte a domande su questo punto, un altro leader della protesta, Thaworn Senniam, ha detto alla televisione pubblica che il popolo non dovrebbe “concentrarsi troppo sulle elezioni,” in quanto rappresenterebbero un aspetto secondario. “Non credo che le elezioni rappresentino pienamente la democrazia e sarebbero una scusa per avere un parlamento schiavo controllato da un solo individuo,” ha detto in un chiaro riferimento a Thaksin. Questo risentimento verso la democrazia è diffuso anche tra la base delle Camicie Gialle. “Non vogliamo nuove elezioni. Abbiamo provato la democrazia per 80 anni,” ha detto Sutti Keratisataen, un 64enne accampato al Ministero degli Affari Esteri occupato, ignorando che negli ultimi 80 anni la Thailandia è stata governata quasi esclusivamente da regimi dittatoriali ed autoritari. “I pigmei della Guinea hanno il loro sistema politico. I cinesi hanno il loro. Gli americani hanno il loro. Il mondo deve accettare che anche noi abbiamo bisogno di un sistema nostro.” Questo l’argomento del manifestante, mentre altri sono scesi in piazza con magliette con su scritto: “Vaffanculo democrazia. Noi amiamo il Re.” Suthep è stato ancora più chiaro, spiegando di voler sospendere la democrazia per un lasso di tempo non specificato e formare un “Consiglio del Popolo” che assumerebbe la guida del paese per “fare le riforme necessarie.” In questo progetto dal sapore vagamente utopico ma del tutto anti-democratico, il Consiglio avrebbe la forma di un non ben chiarito politburo di alte personalità di “tutte le professioni” selezionate da altre altissime personalità, tra cui ovviamente l’anziano monarca.
SUCCESSIONE – Riguardo a quest’ultimo, Re Bhumipol Adyuladej, che non ha ancora nominato con certezza il suo successore, alcuni osservatori ritengono che il vero obiettivo delle opposizioni sia quello di prendere il potere in modo da trovarsi in una situazione di vantaggio al momento della successione, che comporterà inevitabilmente un serio rimescolamento delle carte in tavola. In un paese così polarizzato a livello popolare, e dove dietro alle quinte la guerra tra fazioni della vecchia elite monarchico-militare infuria da anni, le speranze di riconciliazione appaiono minime. Data la lunga storia di instabilità politica, violenza di stato, e golpe militari, il rischio di disordini e scontri anche violenti è reale.
Fonte immagini: @Chu_SpringNews