Il recente tour diplomatico del primo ministro indiano Manmohan Singh, ha messo in luce quello che sempre più sembra essere l’obiettivo diplomatico di Nuova Dehli, ossia la ricerca di una strada per restare attore geopolitico di primo livello. Gli incontri fatti a Mosca e Pechino, rispettivamente con il presidente russo Vladimir Putin ed il premier cinese Li Keqiang, sono stati ovviamente molto cortesi ma, se contestualizzati, rivelano una situazione diplomatica che per l’India si fa sempre più difficile, in parte anche per via del progressivo ritiro degli Stati Uniti dalla scena delle relazioni internazionali.
Il grande dilemma della politica estera continua ad essere il rapporto con la Cina. Storicamente la politica indiana ha oscillato tra vedere il nemico principale ad est (la Cina, appunto) e vederlo ad ovest (il Pakistan), problematica aggravata dalla tradizionale amicizia tra Pechino ed Islamabad, il cui programma nucleare deve molto alle conoscenze cinesi. Nell’incontro con il suo omologo cinese Singh ha affrontato sia il tema dei confini territoriali contestati, ed in merito le parti hanno deciso di arrivare ad una più stretta collaborazione tra i due stati maggiori militari, sia quello di una bilancia commerciale nettamente favorevole a Pechino. L’India sembra quindi voler sposare l’idea cinese di una riapertura di un corridoio economico tra i due paesi (la rotta meridionale della Via della Seta), comprendente anche Birmania e Bangladesh.
Il rapporto indiano con gli Stati Uniti si è andato progressivamente guastando da quando Washington ha visto nel Pakistan un miglior alleato nelle guerra afghana, nonostante i notevoli capitali investiti dall’India fino a quel momento, in funzione antitalebana. E proprio i talebani rischiano di essere un nodo cruciale nel rapporto tra l’India e l’eterno nemico pakistano. Il neo primo ministro pakistano, Nawaz Sharif, è infatti più propenso del suoi precedessori per una risoluzione dello storico conflitto tra i due vicini, ma deve fare i conti con i servizi segreti pakistani (l’ISI) che sembrano voler usare i talebani per soffiare sul fuoco del Kashmir, destabilizzando lo stesso Pakistan, e continuando nel doppio gioco fatto con gli USA.
La minaccia di un Pakistan sempre più instabile e fondamentalista, unita ad un Afghanistan di nuovo in mano ai talebani spaventa Mosca, il che permette all’India di tentare un riavvicinamento alla Russia. Nella tappa moscovita Singh ha infatti affrontato con Putin anche la questione della sicurezza, proponendo inoltre una più stretta cooperazione tra i due paesi, soprattutto in Asia Centrale, obiettivo geopolitico indiano che emerge ciclicamente ma sempre in modo abbastanza velleitario. In quella regione l’India andrebbe a inserirsi in un confronto russo-cinese tentando forse di porsi come mediatrice, se non addirittura schierandosi con la Russia in chiave anticinese. Ma le generiche assicurazioni date da Putin al premier indiano sembrano significare che alla proposta non seguiranno molti sviluppi.
L’India è stata infatti di fatto “espulsa” dall’Asia Centrale sia dalla Russia che dalla Cina. New Dehli ha infatti perso l’uso della base aerea di Ayn, in Tagikistan, presumibilmente per pressioni russe; le stesse pressioni che hanno interrotto la collaborazione militare indiana col Kirghizistan. Da parte loro i cinesi hanno rilevato le quote indiane in importanti giacimenti kazaki e gli accordi con il Turkmenistan hanno reso più difficili per l’India gli approvigionamenti di gas turkmeno. Significativo il fatto che Manmohan Singh abbia proposto a Vladimir Putin la costruzione di un gasdotto parallelo al TAPI (Turkmenistan – Afghanistan – Pakistan – India) il che sembra perlomeno azzardato, visti gli interessi diplomatici conflittuali che si metterebbero in gioco.
L’India, impensierita dai colloqui di giugno tra Barack Obama e Xi Jinping, tenta anche di farsi forte della sua “autonomia strategica”, una sorta di rivisitazione regionale del fronte dei non allineati. Tuttavia questa politica non sembra portare molti frutti visto che uno dei paesi con cui poteva esserci un possibile dialogo in merito, l’altalenante Uzbekistan, ha svoltato verso una strada decisamente filo-statunitense. Sembra quindi che per l’India non resti altra strada che accettare un allenza non paritaria con Pechino, che potrebbe anche portare ad una situazione pakistana più favorevole alla risoluzione di una pericolosissima fonte di tensione.
Fonte immagine: Wikipedia
- Ieng Thirith ed il passato scomodo della Cambogia - 28/08/2015
- Occasione o minaccia? La Cina in Laos - 20/05/2015
- I hmong del Laos, un popolo senza pace - 23/03/2015