BANGKOK (Asiablog) – Il 19 maggio del 2010 il fotoreporter italiano Fabio Polenghi veniva ucciso a Bangkok. Stava documentando il violento assalto dell’esercito thailandese contro i manifestanti antigovernativi delle Camicie Rosse. Un tribunale della capitale thailandese, confermando i risultati delle indagini preliminari, ha stabilito che Polenghi venne ucciso dall’esercito, senza però identificare l’autore materiale dell’omicidio.
Già nel dicembre del 2010, la sorella di Fabio, Isa Polenghi, scrisse una lettera aperta all’ambasciatore thailandese a Roma, nella quale chiedeva di fare chiarezza sulla morte del fratello. L’anno successivo, immediatamente dopo la vittoria elettorale dell’opposizione, vicina alle Camicie Rosse, Isa indirizzò una seconda lettera al nuovo Primo Ministro della Thailandia, Yingluck Shinawatra.
Oggi arriva una terza lettera, indirizzata a Yingluck e ai parlamentari della maggioranza, che in questi giorni stanno votando un controverso disegno di legge di amnistia che scontenta innanzitutto le famiglie delle vittime.
A seguire la lettera di Elisabetta Polenghi:
Due parole rivolte al governo thailandese in memoria di Fabio e delle vittime, rispetto alla legge di amnistia attualmente al voto in parlamento.
Onorevole PM Yingluck Shinawatra e onorevoli parlamentari.
Ho sempre condiviso pienamente le iniziative intraprese dal governo per la Riconciliazione, ma sono certa che il delicato percorso debba necessariamente passare attraverso la pacificazione, vale a dire, la piena ammissione e consapevolezza di quanto accaduto da parte di chi ha commesso i crimini. Non chiedo pene di morte o detenzioni, assolutamente no, sia pure amnistia ma a tempo debito, e sopratutto non in mancanza di pentimento.
Il voto favorevole ad un decreto di amnistia che cancella con un colpo di spugna tradisce chi ha riposto la fiducia e la speranza per uno stato di diritto che metta in primo piano l’uomo ponendo fine alla cultura dell’impunità. Un duro colpo alla popolazione, e alla dignità dell’uomo, un vero ostacolo all’unione e alla riconciliazione stessa. Una pugnalata alle spalle a chi ha già versato sangue e lacrime.
L’obbiettivo comune, senza colore politico, dovrebbe essere quello di aprire la strada della consapevolezza e dell’accettazione di quanto accaduto con coscienza, un’amnistia miope, al contrario, finirebbe per legittimare i crimini inaccettabili commessi, rinnovando la licenza di uccidere e garantendo che fatti del genere accadano ancora. Sarebbe un grave errore, la scelta peggiore.
Con partecipazione e fiducia, cordiali saluti,
Elisabetta Polenghi