In conclusione di un precedente post ho riportato affermazioni fatte da Thongchai Winichakul, storico contemporaneo, alla cerimonia di apertura della Southeast Asian Studies Institute presso la Thammasat University-Rangsit il 18 luglio 2013.
Lo stesso Thongchai Winichakul che nel suo libro Siam Mapped (Ed.University of Hawaii Press, 1994) pone in evidenza l’inesistenza di una nazione thai storica così come la si vuol far credere.
“(…) nei termini della maggior parte delle teorie sulla comunicazione, e del senso comune, una mappa è un’astrazione scientifica della realtà. Una mappa rappresenta soltanto qualcosa che già si trova oggettivamente <là>. Nella storia che ho descritto, questa relazione era invertita. La mappa anticipava la realtà geografica, non viceversa. In altre parole, la mappa era un modello per – e non modello di – ciò che avrebbe dovuto rappresentare. (…) Era divenuta un vero e proprio strumento per concretizzare proiezioni sulla superficie terrestre. La mappa era ormai necessaria ai nuovi meccanismi amministrativi e alle truppe per sostenere le proprie pretese. (…) secondo queste mappe storiche, inoltre, la realtà geografica non è una particolarità moderna, ma viene fatta risalire ad almeno un secolo prima. Le mappe storiche, aiutano quindi a negare ogni suggestione secondo cui il concetto di nazione sia emerso solo nel recente passato, e l’idea che il Siam odierno sia il risultato di un processo traumatico viene preclusa, così come ogni sospetto che i rapporti tra il Siam e le potenze d’Europa siano mai stati i veri procreatori del Siam”.
Ma il Professor Thongchai, nel suo complesso intervento, tocca vari temi socioculturali e se l’utilizzo delle mappe storiche come strumento per creare un’identità nazionale ci riporta al nazionalismo, le sue affermazioni critiche riguardanti il “thai-centrismo” aprono le porte ad altri aspetti dell’attuale società thailandese.
“Nella società tailandese ci hanno insegnato a conoscere il nostro dovere. La disciplina è fortemente sottolineata, quindi il fenomeno dei capelli e delle uniformi [regole scolastiche di controllo degli studenti], anche se la logica di tutto questo non esiste più. L’unica spiegazione razionale che rimane è forse quella di produrre un popolo sottomesso al potere.” (Intervento alla cerimonia di apertura della Southeast Asian Studies Institute presso la Thammasat University-Rangsit il 18 luglio 2013)
“La scuola di oggi insegna ai ragazzi, fin dall’infanzia, a vivere come automi e non a porsi domande essenziali per la loro età. Fin dall’infanzia dimentichiamo la nostra libertà. Vorrei sottolineare che questo metodo di sviluppo della persona impedisce chiaramente l’emergere di una libertà spirituale e religiosa a livello di massa. La conseguenza del processo che ho appena descritto è una sorta di umiltà ontologica ed esistenziale.(…) ma l’umiltà non concepita come una strada che porta alla comprensione, al rafforzamento e infine alla liberazione dell’essere umano, ma al contrario come uno strumento per rendere l’uomo schiavo.” (Dalla dichiarazione resa in tribunale da Maria Alyokhina, del gruppo Pussy Riot – Internazionale n.963)
Qualche tempo addietro, sul web, si è sviluppata una discussione in cui ci si domandava: Perché i thailandesi leggono poco? (Sette righe annue per la precisione).
La mia conclusione fu: non leggono perché non amano leggere. Non amano leggere perché non possono sentirne la mancanza, istintivo sentire la mancanza di cibo, innaturale sentire la mancanza di un buon libro, ma il fatto che sia innaturale non vuol dire che sia inutile, tutt’altro. Leggere è il mezzo principale per apprendere, per ampliare le nostre conoscenze, che sia un libro scolastico o un manuale di istruzioni d’uso, un romanzo o il bugiardino di un medicinale.
Se non si sente la mancanza di leggere è perché nessuno ti ha mai offerto abitualmente qualcosa da leggere e ben poco possono fare i padri – caso mai nati in condizioni sociali ben peggiori – e il diritto di “leggere” deve essere diffuso e difeso dallo Stato. Ma se manca, al potere politico, la voglia di educare i cittadini ad una coscienza civica diversa da quella conveniente al medesimo potere, bene, allora ci si ritrova in questa assurda realtà dove ben poco valore hanno le critiche destinate alla “tradizione culturale” se non si tengono in considerazione i condizionamenti imposti da chi detiene il “potere”.
Se la mia risposta è corretta la stessa risposta giustifica, naturalmente, anche il fatto che gran parte dell’umanità non sente il bisogno di maggiore libertà.
C’è libertà oggi in Thailandia?
“Il problema è la censura, che c’è da tempo, e forse ancor di più l’autocensura perché la gente non ama parlare di argomenti sociopolitici: da quando siamo giovani, l’istruzione ci preclude queste discussioni.
Oggi con Internet e con più libertà di espressione capiamo finalmente di non avere conoscenza e coscienza della nostra storia sociale e politica: molti giovani provano a re-istruirsi grazie alla Rete e ai libri del circuito underground. Per capire la realtà perché, in effetti, il problema non è la legge ma la gente che non sa e non può comprenderla.
Sembra l’Iran.
Peggio, perché l’Iran come la Cina ha registi, scrittori, intellettuali capaci di farsi voce di dissenso: viceversa, noi facciamo commedie disimpegnate perché non abbiamo i mezzi intellettuali per fare altrimenti. Prima, ripeto, dobbiamo poter capire quanto ci circonda.” (Intervista ad Apichatpong Weerasethakul – Palma d’Oro a Cannes 2010 per “Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti”)
E qui trovate un racconto di Pravit Rojanaphruk, giornalista del quotidiano The Nation con sede a Bangkok.
Anche la libertà non è un bisogno naturale dell’uomo, da sempre disposto a sacrificarla pur di riempire lo “stomaco”. Ed il “potere”, in troppi casi, ben si guarda dall’educare i cittadini ad una coscienza civica diversa da quella che conveniente al “potere” medesimo. E ben poco valgono le diverse rilevazioni statistiche relative ad alfabetizzazione (il grado di sviluppo delle capacità individuali di lettura e scrittura, con riferimento al gruppo culturale di appartenenza – che nulla ha a che fare con la comprensione di ciò che si è letto), o alle risorse economiche impegnate nel sistema educativo (le risorse impegnate dall’amministrazione thailandese per la scuola rappresentano mediamente, negli ultimi 10 anni, il 23% della spesa pubblica, nello stesso periodo: Italia 9,50%, Finlandia 12%), quando “ci sono interi settori del marketing dediti a quella che Thorstein Veblen, il grande studioso di economia politica, chiamava “induzione di bisogni”: indirizzare le persone verso le “cose superficiali” della vita. In tal modo le persone sono spinte a ricercare solo il vantaggio personale, e distolte dal pericoloso tentativo di pensare con la loro testa, agire insieme e sfidare l’autorità.” (Noam Chomsky – “Un nuovo spirito del tempo” – L’internazionale n.958)
“.. in molti paesi, indipendentemente degli obiettivi strettamente economici, le politiche scolastiche e i possibili interventi per migliorare l’istruzione sono stati e restano temi centrali, che impegnano i capi di stato e di governo o i leader che si candidano a diventar tali. E, a pensarci, è ovvio: una classe politica, se vuole davvero governare, e cioè concorrere a indirizzare a lungo termine l’intera vita di un popolo, deve impegnarsi a fondo per favorire (ma attenzione: anche soffocare) cultura e istruzione, cioè le istituzioni della cultura e , massima tra queste, il sistema dell’educazione.” (Tullio De Mauro , Internazionale n.985)
Il potere, quindi, trova la sua maggior forza di consolidamento grazie allo stretto controllo praticato sui sistemi educativi nazionali e questo, ripetendo De Mauro, sia che voglia favorire o che voglia soffocare cultura ed istruzione.
Quindi, dato per scontato che l’attuale classe politica, thailandese, russa, statunitense o italiana che sia, non faccia altro che il proprio (sporco) interesse, e la “conoscenza,” ma anche la libertà e la democrazia, non sono necessità naturali e per apprezzare l’una e l’altra bisogna sapere che esistono, il mio dubbio è: ma noi (il popolo), che in molte vicende di vita, se non di cronaca, sembriamo colpevoli, in realtà non siamo soprattutto vittime? Molti dei nostri comportamenti, delle nostre azioni ‘sbagliate’, al di là del disinteresse di tanti che sanno ma fingono di non sapere, sono da considerare un dolo intenzionale o atti colposi dettati dall’ignoranza in cui siamo tenuti?
Non ho risposte e forse anche l’impianto del mio ragionamento è non corretto ed incompleto, ma resta il fatto che il potere, con la manomissione della storia e l’uso mirato del nazionalismo, influenza lo sviluppo del nostro ‘essere’ (del nostro cervello).
In Thailandia, non da oggi, si levano voci molto critiche nei confronti di questa tirannia culturale generatrice di un degrado sociale che autoalimenta un thai-centrismo che, per mancanza di istruzione, trascenderebbe a volte nel ridicolo se non fosse un sintomo tragico. A proposito: Il pietoso stato della Pubblica istruzione thailandese.
Ed un link che dimostra come l’argomento sia di piena attualità anche in nazioni cosiddette “democratiche” dove le critiche assumono, ovviamente, aspetti diversi ma comunque preoccupati per il futuro: Academy Fight Song.
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