Recenti dispute tra Pechino e Mosca, relative al prezzo delle forniture russe di gas, hanno riproposto con forza il dilemma sul futuro della politica estera cinese. La Cina, affamata di risorse energetiche per supportare il suo tasso di crescita, sta infatti diventando attore su scala globale, innescando una serie di tensioni che potrebbero diventare difficilmente gestibili.
La trattativa infinita sul gas russo verteva soprattutto sul prezzo del greggio e sulle modalità di acquisto. Come ben sanno i paesi dell’Europa orientale, i russi nei contratti energetici inseriscono puntualmente la clausola “take-or-pay”, vale a dire il pagamento di un quantitativo predeterminato, anche se non utilizzato. Altro punto di controversia la definizione del prezzo del gas, con i russi riluttanti ad agganciarlo all’Henry Hub, ossia ad una convenzione internazionale di regolazione delle tariffe. La firma del contratto tra i due paesi è infine giunta, e sembra alle condizioni di Mosca, ma significativamente mentre l’accordo con Mosca si concludeva, nello stesso tempo Pechino firmava un altro importante contratto, questo con il Turkmenistan.
Il contesto in cui Russia e Cina hanno trovato un accordo non è privo di importanza, ossia i margini del vertice dei G20, come non lo è il fatto che Pechino abbia faticato a trovare punti d’incontro con uno dei partner più importanti, entrambi membri di diverse organizzazioni internazionali come i BRICS e la SCO. La richiesta di energia cinese sta spingendo Pechino ad agire contro le sue stesse linee guida, diventando protagonista in ogni teatro dove vi possa essere una possibile fonte energetica, arrivando a scontrarsi con gli interessi di molteplici potenze, Russia compresa. In particolare questa problematica sembra di particolare rilevanza per quanto riguarda i rapporti tra Cina e India.
La visione geopolitica cinese è caratterizzata dal rifiuto di una leadership mondiale, principio in base al quale si criticano gli Stati Uniti, in favore invece di un sistema dominato da molteplici potenze regionali. Tuttavia, proprio a causa dei suoi bisogni energetici, la Cina sta agendo come una potenza globale, ereditando di fatto il ruolo degli USA. A causa di questi motivi per Pechino diventa fondamentale il ruolo delle organizzazioni internazionali, luoghi deputati a gestire i conflitti di interessi. Allo stesso tempo tuttavia il Governo cinese non vuole che queste intervengano nelle regioni ritenute di sua competenza, come nel caso del Mar Cinese Meridionale o delle periferie della “terra di mezzo”, quali il Tibet o lo Xinjang.
Per la Cina sembra ormai giunto il momento di riflettere seriamente sul suo futuro. La strada imboccata potrebbe rivelarsi una scelta sbagliata, prendendo a modello lo sviluppo occidentale il rischio è di arrivare allo stesso punto d’arrivo, ossia una crisi economica che in Cina potrebbe avere conseguenze dirompenti, non fosse che per la sua scala demografica. Lo spettro di Pechino si chiama Stati Uniti, non tanto per il confronto in corso nelle acque orientali, ma piuttosto per la paura di ripercorrerne gli errori, e la vita economica cinese sembra già avviata verso uno scenario americano: basti pensare alla bolla creditizia oppure ai prezzi degli immobili giunti, in certe aree, davvero alle stelle.
Una Cina quindi quasi costretta a crescere contro la sua volontà, allevandosi in seno una possibile classe di serpi, ossia i super ricchi, che potrebbe mettere in serio pericolo l’egemonia del Partito Comunista, incapace di armonizzare una diseguaglianza sociale sempre più forte. Ma anche nel caso volesse fermarsi a riflettere, con una ovvia chiusura verso l’esterno, la Cina riuscirà a gestire l’arresto di una “locomotiva” che sembra inarrestabile? Paradossalmente la Cina comunista potrebbe mettere in luce tutti i limiti dell’Occidente liberal-democratico; si può tornare indietro dal progresso, inteso soprattutto come crescita economica?
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